Professor Amenta, lei presiede il Centro internazionale radio medico, un avamposto della telemedicina nel mondo. Quante persone avete curato e salvato?
Dal 7 aprile 1935, data di inizio dell’attività del CIRM, abbiamo curato più di centodiciannovemila pazienti a bordo di navi, risponde a SprayNews il Presidente del CIRM. E’ il più grande numero di persone assistite in mare a livello planetario.
Anche il premier Mario Draghi parla della telemedicina come di una svolta importante per il nostro sistema sanitario, soprattutto in tempo di pandemia. Che cosa manca per passare dalle ipotesi alla realtà? Le Reti? La formazione degli operatori? Una cultura scientifica più aperta e dinamica?
Manca soprattutto un giusto approccio psicologico. Molti di noi credono che la telemedicina sia da utilizzare solo quando non c’è la possibilità di assistere in modo diretto gli ammalati. Non è sempre così. Le tecnologie, via via più evolute e precise, ci consentono di replicare in modo efficace quanto si può ottenere con il rapporto diretto, vis à vis, tra medico e paziente.
Chi dovrebbe occuparsi della formazione degli operatori?
Anche il Pnrr parla della necessità di formare gli operatori sanitari e demanda alle Regioni il compito del coordinamento. Io personalmente credo che anche le università dovrebbe avere un loro ruolo e essere chiamate ad offrire questo nuovo tipo di formazione, che non deve necessariamente essere solo l’addestramento specifico degli operatori sul campo, ma anche un’impresa culturale che convinca in primis gli operatori della possibilità di ricorrere a tecnologie, che possono essere di grande aiuto.
Quale è la differenza tra e-health e telemedicina?
E-health, o più modernamente sanità digitale, indica tutte le possibilità, che noi abbiamo a disposizione, per offrire sevizi sanitari a distanza. Telemedicina, invece, è la visita medica a distanza e il trasferimento di dati biomedici e di esami specialistici, tutte le volte in cui il medico e il paziente non si trovano nello stesso posto.
L’intelligenza artificiale può diventare un valido alleato della telemedicina?
Assolutamente sì e lo è già perché l’intelligenza artificiale può identificare sintomi e allineare esperienze, in grado di guidarci verso altre evidenze e, quindi, condurci a diagnosi più precise e più corrette.
Due anni fa davanti all’esplosione del Covid 19 eravamo impreparati. In quali ambiti la telemedicina può oggi rivelarsi cruciale nella malaugurata ipotesi di nuove ondate pandemiche?
Grazie alla telemedicina noi possiamo far sì che pazienti non particolarmente compromessi possano rimanere a casa ed essere assistiti a distanza. L’assistenza a distanza significa non solo scongiurare il sovraffollamento negli ospedali, ma lasciare il paziente in un ambiente familiare, che è sicuramente più confortevole rispetto a quello di una struttura ospedaliera ed anche esporre a minori rischi gli operatori sanitari, che si prendono cura dei pazienti loro assegnati.
Siamo un Paese all’avanguardia nella telemedicina?
In un’ipotetica classifica non siamo messi benissimo, ma neppure malissimo. Siamo in una posizione intermedia, che deve stimolarci a raggiungere posizioni più elevate e nuovi traguardi.