A corto di aggettivi, il premier Meloni ricorda l’eccidio delle Fosse Ardeatine
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A corto di aggettivi, il premier Meloni ricorda l’eccidio delle Fosse Ardeatine

Un cialtronesco modo di usare il linguaggio. Si, erano italiani i martiri ma soprattutto erano antifascisti e ebrei. Le parole hanno un senso profondo in politica.

A corto di aggettivi, il premier Meloni ricorda l’eccidio delle Fosse Ardeatine
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Marcello Cecconi Modifica articolo

25 Marzo 2023 - 15.15 Culture


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Invece di ringraziarla, per la tempestività avuta nel ricordare l’anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, tutti l’hanno aspramente criticata. La dolce “cristiana de noantri”, con il suo sguardo addolorato per l’occasione, ha letto il laconico testo preparato dal suo solerte portavoce. L’ha letto tutto d’un fiato: “335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani”. Ha detto, commuovendosi, da superba cabarettista quale è.

E che c’è di strano? Non erano forse italiani gli assassinati delle Fosse Ardeatine? Sì è vero, erano italiani ebrei, italiani omosessuali, italiani comunisti, italiani antifascisti, ma di certo erano innocenti come ha detto lei. Vuoi mettere quanto sia più ficcante ridurre gli aggettivi, inutili orpelli per la nuova cultura che avanza nella concretezza, solidità, insomma … la cultura della sostantività.

E cerchiamo di capire lo stress del povero Premier, costretto a correre a destra e a manca per tenere in equilibrio un Paese, pardon una Nazione; equilibrio difficile da tenere, se guida guardando solo a dritta, lasciata in brache di tela proprio da quei personaggi che hanno trasformato la lira in euro, che hanno favorito invasione di stranieri, propagato pandemie e creato una grande, anzi grandissima, confusione di genere.

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Proprio a queste cose pensava anche il mite La Russa, prima di ascoltare quelle parole di Meloni che lo hanno spinto a rinnovare il dolore per gli italiani. I suoi italiani, solo quesrto, senza quei “brutti” aggettivi che fanno schierare e dividere. Allora, il buon Ignazio, è tornato con il suo pensiero a quel giorno di Roma, di quasi ottant’anni fa e non riusciva a scacciare la convinzione che quell’eccidio fu inevitabile conseguenza del “vile” attentato di italiani partigiani (… ecco l’inconsapevole uso di aggettivi) a via Rasella, che costò la vita a 33 tedeschi nazisti amici (…ahi, altro inconsapevole uso di aggettivo, anzi doppio aggettivo).

Si è scosso dal torpore imbarazzante delle qualifiche e, a scanso di equivoci e rinnovo di polemiche, ha telefonato a casa per assicurarsi che quel busto del povero Benito fosse davvero rinchiuso nel soppalco senza scala retrattile, ma che fosse ancora lì. Ma quanto è uggioso il peso che si dà alle parole oggigiorno.

Le parole non fanno male, lo aveva appena convintamente detto, nei giorni scorsi, anche la Noemi Di Segni, Presidente delle Comunità ebraiche italiane, rassicurando tutti circa la migliorata serenità della sua comunità, onorata per essere tornata all’attenzione grazie ai cori di mezzo migliaio di tifosi laziali: “Siamo le camicie brune, c’hai er padre deportato e tu madre è Anna Frank. Romanista sei un rabbino, pane azzimo e agnellino, e festeggi l’Hanukkà”.

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“Ecco un bellissimo spirito intonato a celebrare meglio la ricorrenza dell’eccidio dei prossimi giorni”, avrebbe detto Noemi Di Segni.

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