Si è raccontato molto, dal 79 d.C, di quell’eruzione a seguito della quale il Vesuvio, che all’epoca non era considerato un vulcano attivo, rase al suolo Pompei e tutti i suoi abitanti. Quella che è passata alla storia come una delle più note eruzioni vulcaniche, fu descritta da Plinio il Giovane attraverso le sue lettere nelle quali minuziosamente ricostruiva la morte dello zio, Plinio il Vecchio, che con una nave partì dal porto di Miseno per portare soccorso agli abitanti.
Da allora e nei secoli a venire, prosegue la ricostruzione di quell’evento tanto raro quanto tragico che, secondo le stime degli esperti, causò la morte di oltre 1500 vittime certe, più diverse centinaia di persone rimaste intrappolate nel crollo di edifici collassati per il peso delle rocce o per l’eccessivo calore della nube dell’eruzione.
Oggi, un nuovo tassello si aggiunge a questa pagina di storia: studi affermano che concomitante all’eruzione ci fu un terremoto che contribuì alla morte degli abitanti di quell’area. A confermare questa teoria è un nuovo ritrovamento: durante uno scavo nell’Insula dei Casti Amanti, tornano alla luce gli scheletri di due anonime vittime.
A renderlo noto – come riportato da Ansa – è il MiC, a cui si aggiungono le parole del direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, il quale precisa che ad aver avuto un ruolo fondamentale in queste nuove scoperte sono state le moderne tecniche di scavo che hanno aiutato a comprendere meglio l’inferno che in quei due giorni si scatenò sulla città di Pompei.
Non c’è dubbio, infatti, che si sia trattato di un terremoto a provocare la morte delle ultime due vittime rinvenute: i due scheletri sono stati ritrovati sotto il crollo di un muro che – secondo la ricostruzione degli esperti – deve esser avvenuto tra la fase finale di sedimentazione dei lapilli.
Come dimostrano anche le parole del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, questo ritrovamento, è la prova di quanto ci sia ancora da scoprire riguardo alla tanto celebre quanto drammatica eruzione avvenuta nel 79 d.C e quanto ci sia ancora bisogno di proseguire nelle attività di indagine e di scavo che, ogni volta, portano alla luce qualcosa di nuovo. “Pompei – prosegue Sangiuliano – è un immenso laboratorio archeologico che negli ultimi anni ha ripreso vigore, stupendo il mondo con le continue scoperte portate alla luce e manifestando l’eccellenza italiana in questo settore”.
Così, per celebrare l’immenso valore delle scoperte riportate alla luce dalle ceneri di Pompei, ma anche la drammaticità di un evento che rase al suolo un’intera cittadina ignara del destino cui sarebbe andata in contro, si riportano le parole di Plinio il Giovane che, in una lettera a Tacito, descrisse la potenza disarmante di quell’evento che oltre a causare la morte di innumerevoli vittime, spense per sempre anche la vita e la curiosità scientifica dello zio.
“Mi chiedi che io ti esponga la morte di mio zio, per poterla tramandare con una maggiore obiettività ai posteri. Te ne ringrazio, in quanto sono sicuro che, se sarà celebrata da te, la sua morte sarà destinata ad una gloria immortale.
Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna (si seppe poi in seguito che era il Vesuvio) […] si dissolveva allargandosi: talora era bianchissima, talora sporca e macchiata, a seconda che aveva trascinato con sé terra o cenere.
Nella sua profonda passione per la scienza – Plinio il Vecchio – stimò che si trattasse di un fenomeno molto importante e meritevole di essere studiato più da vicino. Ordina che gli si prepari una liburna […] e ciò che aveva incominciato per un interesse scientifico lo affronta per l’impulso della sua eroica coscienza.
Fa uscire in mare delle quadriremi e vi sale egli stesso, per venire in soccorso non solo a Rettina ma a molta gente, poiché quel litorale, in grazia della sua bellezza era fittamente abitato.
[…] Ormai, quanto più si avvicinavano, la cenere cadeva sulle navi sempre più calda e più densa, vi cadevano ormai anche pomici e pietre nere, corrose e spezzate dal fuoco, ormai si era creato un bassofondo improvviso ed una frana della montagna impediva di accostarsi al litorale. Dopo una breve esitazione se dovesse ripiegare all’indietro, al pilota che gli suggeriva quest’alternativa tosto replicò: «La fortuna aiuta i prodi; dirigiti sulla dimora di Pomponiano […]
Quando riapparve la luce del sole (era il terzo giorno da quello che aveva visto per ultimo) il suo cadavere fu trovato intatto, illeso e rivestito degli stessi abiti che aveva indossati: la maniera con cui il suo corpo si presentava faceva più pensare ad uno che dormisse che non ad un morto“.