di Lorenzo Lazzeri
L’Italia turistica sta assistendo ad una metamorfosi inesorabile. Le piattaforme di affitti brevi, nate come paladine di un’economia condivisa, si sono tramutate in artefici di una gentrificazione turistica che sta inesorabilmente erodendo il genius loci delle nostre città.
Nelle vie labirintiche di Firenze, un tempo animate dal vociare dei mercati rionali, oggi risuona il rumore sordo di trolley. Roma, l’Urbe eterna, vede i suoi quartieri storici trasformarsi in un caleidoscopio di esperienze “autentiche” per viaggiatori in cerca di emozioni preconfezionate. Venezia, già vittima di un turismo fagocitante “mordi e fuggi”, si trova ora a fronteggiare una nuova invasione dei barbari, questa volta armati di smartphone e recensioni online.
Il fenomeno, lungi dall’essere confinato alle città d’arte, si insinua capillarmente nel tessuto urbano nazionale, infiltrandosi persino nei borghi più remoti. Piccoli centri etruschi come ad esempio Cortona o l’arroccata Civita di Bagno Regio, un tempo custodi di tradizioni secolari, si ritrovano ora a oscillare pericolosamente tra l’abbandono e una turistificazione che ne snatura l’essenza. L’identità di questi luoghi, forgiata da generazioni di residenti, ora cacciati via, rischia di dissolversi in un pastiche di esperienze confezionate per il consumo turistico.
Milano, fulcro economico del Paese, assiste impotente all’esodo forzato di studenti e giovani professionisti, espulsi da un mercato immobiliare in preda a una febbre speculativa alimentata dalla chimera degli affitti brevi. Le cifre parlano chiaro: a fronte di 600.000 studenti fuorisede, l’offerta di posti letto in residenze universitarie si attesta a un misero 40.000, un’inezia che costringe i giovani a una diaspora verso periferie sempre più remote o a scegliere altre destinazioni più abbordabili o vicine ai luoghi di origine.
Anche l’impatto sul mercato del lavoro è altrettanto rilevante, con un paradosso kafkiano che si materializza nelle località turistiche, dove gli alberghi da un lato faticano a reperire personale poiché i potenziali dipendenti non possono permettersi di vivere nelle vicinanze e dall’altro si vedono sfuggire i potenziali clienti attratti dalle caratteristiche “esperienziali” dell’offerta delle piattaforme.
Le amministrazioni locali e il governo centrale, di fronte a questo fenomeno, hanno finora risposto con palliativi normativi. L’introduzione di un codice nazionale per gli affitti brevi e l’incremento della cedolare secca al 26% si sono rivelati tentativi velleitari di arginare un fenomeno che ha ormai assunto i contorni di una rivoluzione socio-economica. Siffatte misure, lungi dal risolvere le questioni di fondo, sembrano piuttosto gettare un velo di legalità su un processo di trasformazione urbana che procede inarrestabile.
La situazione, lungi dallo stabilizzarsi, sta subendo un’accelerazione vertiginosa. Le piattaforme per affitti brevi, forti di algoritmi sempre più sofisticati e di una capacità di penetrazione del mercato senza precedenti, continuano a erodere il tessuto residenziale delle città. Tale processo sta creando una dicotomia sempre più marcata tra spazi territoriali iperconnessi e aree residenziali desertificate.
Mentre le piattaforme prosperano, alimentando un’economia parallela di property management e servizi ancillari, le comunità locali si disgregano. I quartieri, un tempo ecosistemi sociali complessi, si trasformano in non-luoghi, palcoscenici effimeri per una recita perpetua di autenticità simulata. Il rischio è quello di ritrovarsi a vivere in un Paese trasformato in un immenso parco a tema, dove la cultura locale sopravvive solo come simulacro di sé stessa, cristallizzata in un eterno presente turistico.
La posta in gioco è alta e qui si tratta di preservare non solo l’abitabilità delle nostre città, ma la loro stessa anima. La sfida che si profila all’orizzonte richiede un approccio interdisciplinare e una visione di lungo termine, che vada oltre i tentativi finora intrapresi di regolamentazione superficiale. È necessario un ripensamento radicale del concetto stesso di ospitalità, che bilanci le esigenze dell’economia delle piattaforme con il diritto inalienabile dei residenti a vivere e prosperare nelle proprie comunità.