Bergamini, colonnelli contro il Gruppo Zeta
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Bergamini, colonnelli contro il Gruppo Zeta

Avevano scoperto una talpa nell'Arma e li hanno puniti. Su Cosenza Sport le ragioni del trasloco dei carabinieri che indagavano sul caso Bergamini [Checchino Antonini]

Bergamini, colonnelli contro il Gruppo Zeta
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29 Ottobre 2012 - 15.23


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di Checchino Antonini

Avevano denunciato un loro collega colluso con la ‘ndrangheta e i loro superiori che lo coprivano. Ecco perché sono stati trasferiti i carabinieri del Gruppo Zeta.

Gabriele Carchidi, il giornalista che ha contribuito a riaprire il fascicolo sulla morte di Denis Bergamini, ha raccontato sul settimanale Cosenza Sport (nell’omertà della stampa locale) anche la storia dei carabinieri Redavid, Citino e Lupo e Greco, il Gruppo Zeta, quello che ha dato una svolta alle indagini sul caso del calciatore del Cosenza, col supporto di altri tre colleghi, Giordano, Marano e Scorzo. Prima di poterle concludere tutti i carabinieri in questione sono stati trasferiti in massa.

La loro grave colpa è stata quella di denunciare i comandanti provinciali, Francesco Ferace e Vittorio Franzese e un capitano, Paolo Lando, perché avrebbero tutte le prove della collusione di un maresciallo con la famiglia di un latitante. Il sottufficiale avrebbe avvertito la famiglia che la loro casa era imbottita di microspie, fornendo loro una mappa dettagliata delle cimici, facendo saltare, nei fatti, la cattura del capo ‘ndrina.

I sette lavoravano per conto della Dda. Un anno e mezzo fa, il comando provinciale ha creato una squadra parallela per la ricerca dei latitanti, quella per cui lavora il maresciallo con la lingua lunga e il cui nome fu intercettato dagli investigatori. Quelli che sarebbero divenuti il Gruppo Zeta avvertono i superiori, insieme ascoltano i nastri, ma poi i comandanti prendono tempo e ci mettono due giorni ad avvertire il pm. I vertici dell’Arma cosentina negano perfino agli uomini del gruppo la possibilità di riascoltare il cd che, nel frattempo, era stato spedito alla sezione fonica del Ra. Cis, il Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche di Roma. E’ il maggio del 2011.

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Il maresciallo “canterino” è libero di girare e scartabellare tra le carte. E’ così che scoprirà l’esistenza di una trascrizione che lo riguarda. Il gruppo Zeta prepara a giugno l’ennesimo rapporto. Due settimane dopo il deposito della loro annotazione di polizia giudiziaria tutto il gruppo viene allontanato dal nucleo investigativo con la colpa di aver denunciato che «l’atteggiamento assunto dagli ufficiali ha palesato, in considerazione della pluralità delle condotte omissive tenute, la concorsuale intenzione di celare o sminuire i gravissimi fatti ravvisati». E, appena i militari del Gruppo Zeta si rivolgono a un legale per tutelarsi, il colonnello si scatena, sempre secondo le ricostruzioni di Carchidi, in una serie di vessazioni e minacce.

Eppure – secondo le carte citate della Procura – quell’annotazione «dava analitica contezza dei gravissimi accadimenti virificatisi circa le rivelazioni di segreti d’ufficio e il favoreggiamento personale aggravato potenzialmente ravvisati a carico che il colonnello Ferace aveva posto a capo della squadra ricerca latitanti». Nessun provvedimento ha raggiunto la “talpa” dei carabinieri nonostante la presenza di un atto ufficiale mentre quattro dei sette finiranno alcuni mesi dopo sul caso Bergamini con risultati brillanti: il caso sembra vicino a una svolta.

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Ma il 4 ottobre, come Popoff ha scritto, vengono trasferiti e ora hanno deciso di ricorrere in Cassazione.

Denis Bergamini, argentano del ’62, venne trovato morto il 18 novembre 1989 sulla statale 106 Jonica nei pressi di Roseto Capo Spulico in provincia di Cosenza. Carlo Petrini, ex calciatore del Milan, scrisse su di lui “Il calciatore suicidato” nel 2001, in cui fornì alcuni dettagli ancora non provati sulla vicenda. All’epoca, però, fu pompata la testi del suicidio: Bergamini si sarebbe buttato tra le ruote di un camion che l’avrebbe trascinato per circa 60 metri. L’indagine fu archiviata ma familiari, tifosi, compagni di squadra non hanno mai creduto al suicidio. Il corpo non presentava nessuna ferita compatibile con la versione ufficiale e non era sporco di fango, nonostante la pioggia e le pozzanghere di quella sera. Finalmente la procura di Castrovillari ha deciso nel 2011 di ritornare sulla vicenda, indagando però questa volta sull’ipotesi di omicidio.

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A dare l’impulso decisivo l’inchiesta di un giornalista, Gabriele Carchidi. Anche Petrini, prima di morire, aveva sposato questa linea parlando dai microfoni di Radio Libera Bisignano. Secondo l’ex difensore del Milan non solo Isabella Internò, ma anche un familiare a lei molto vicino potrebbe contribuire a chiarire cosa successe in quel maledetto viaggio dal Cinema Garden di Rende a Roseto Capo Spulico.

Isabella era la fidanzata di Bergamini ed era con lui quella sera. Un perito ha dimostrato che il suo corpo venne adagiato già inerme sulla Statale 106. E tutto era già scritto, probabilmente, nella perizia del ’90 redatta dal professor Avato: percosso e colpito ai genitali, evirato, poi morto dissanguato. I Ris di Messina, intanto, hanno escluso che Bergamini fosse un corriere della droga perché la Maserati Spider del calciatore non conteneva né doppifondi né vani occulti. Allora chi aveva interesse ad ucciderlo? Perché la perizia del professor Avato non fu presa adeguatamente in considerazione? Qual è il ruolo della fidanzata? Domande a cui il Gruppo Zeta stava per rispondere.

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