Addio a Garrone, galantuomo del calcio
Top

Addio a Garrone, galantuomo del calcio

Un filo blucerchiato che lega per sempre il Signore di Genova alla sua Samp e a Paolo Mantovani. Patriarca saggio e illuminato e mecenate della città. Indimenticabile.

Addio a Garrone, galantuomo del calcio
Preroll

Xavier Jacobelli Modifica articolo

22 Gennaio 2013 - 16.35


ATF
di Xavier Jacobelli

In morte di Riccardo Garrone, che avrebbe compiuto 77 anni domani, quando si celebreranno i suoi funerali, c’è un filo blucerchiato che lega per sempre il Signore di Genova alla sua Samp e a Paolo Mantovani.

Il cordoglio spontaneo e la grande partecipazione popolare a questo lutto ricordano al calcio italiano che se n’è andato un patriarca saggio e lluminato, un tifoso vero e appassionato della sua squadra. Come Pietro Scibilia, l’uomo che ha fatto grande il Pescara dopo avere costruito uno squadrone nel ciclismo con Moser, Saronni e Marino Basso.

Come Paolo Mantovani, uno dei migliori presidenti nella storia del calcio italiano e non soltanto per ciò che ha vinto con la Samp di Vialli e Mancini (uno scudetto, una Coppa delle Coppe, 3 Coppe Italia, una Supercoppa Italiana), senza dimenticare la finale di Coppa dei Campioni persa a Wembley nel ’92, un’altra finale di Coppa delle Coppe, altre due finali di Coppa Italia, una di Supercoppa Europea e tre di Supercoppa italiana.

Così come Mantovani ha portato la Samp nella storia del calcio italiano, quella Samp di cui Garrone era stato sponsor inamovibile, in un’altra epoca Garrone l’ha salvata dal fallimento. L’ha risanata. L’ha presa in B e l’ha condotta sino al preliminare di Champions League. E’ tornato in B e di nuovo è risalito.

Garrone cioè la Samp, la cultura, i giovani, il rispetto per tutti, il fair-play, l’opposizione netta e intransigente alle storture del calcio moderno e ai suoi quaquaraquà, agli impresentabili che continuiamo a ritrovarci fra i piedi, alle mummie incapaci di rinnovare e di innovare, agli incollati alla poltrona che, a uno come il Signor Erg, manco potrebbero allacciare le scarpe.

Perchè il Cavaliere del Lavoro Riccardo Garrone era di un’altra pasta. Era un galantuomo. Ha affrontato con coraggio anche la partita contro un avversario che non perdona: se l’è portato via il tumore al pancreas.

Se gli uomini si giudicano dalle loro azioni, Garrone è uno di quegli uomini che, quando arrivano alla fine della corsa, possono dire come San Paolo nella seconda lettera a Timoteo: “…è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”.

Imprenditore di successo, catapultato dall’improvvisa morte del padre alla guida della Erg a soli 27 anni, Garrone è stato anche un mecenate autentico, di quelli che oggi non ci sono più. Ha voluto legare il nome della sua società al restauro del bellissimo Teatro Carlo Felice di Genova, del quale Erg è lo sponsor istituzionale sin dal ’91, l’anno della sua riapertura. Presidente della Fondazione Garrone, ha patrocinato innumerevoli iniziative culturali, scientifiche, sociali che hanno onorato Genova in Italia e nel mondo. Senza prosopopea. Preferendo essere piuttosto che apparire.

In un Paese in cui lo sport nazionale è violare le regole e questo calcio ne è una nave scuola, Garrone è stato inflessibile nell’imporre il rispetto delle regole in casa Samp.

Flachi e Cassano lo sanno bene e hanno talmente imparato la lezione che ora, sia l’uno sia l’altro, come tutti i tifosi blucerchiati sono distrutti dal dolore e non riescono a credere di essere rimasti senza il loro presidente. L’elegante signore che, quando la sua Samp si qualificò ai preliminari di Champions League, si lasciò trascinare nel ballo sfrenato che Cassano dirigeva dentro lo spogliatoio ebbro di gioia. Oppure, a Marassi, sollevava verso il cielo la sciarpa blucerchiata, nella buona come nella cattiva sorte.

Uno così non si dimentica più. Non si dimenticherà mai.

Native

Articoli correlati