La Lazio è storia, la Roma un parto di fascista abruzzese
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La Lazio è storia, la Roma un parto di fascista abruzzese

Giancarlo Dotto che ha definito i biancocelesti Nessuno. Ma se la tua squadra è stata umiliata da Nessuno, allora la consideri meno del Nulla.

La Lazio è storia, la Roma un parto di fascista abruzzese
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Giancarlo Governi Modifica articolo

5 Giugno 2013 - 21.25


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di Giancarlo Governi

Giancarlo Dotto mi ha fatto pensare a Omero, l’Odissea, Ulisse e Polifemo. Ricordate? Il ciclope Polifemo ha imprigionato nella sua grotta Ulisse e i suoi compagni con l’idea di mangiarseli con comodo, ma il furbo Ulisse, mentre il ciclope dorme, con un palo infuocato lo acceca nell’unico occhio.

Poi riesce a scappare approfittando della cecità di Polifemo nascondendosi sotto il ventre di una pecora. A Polifemo il furbo Ulisse dice di chiamarsi Nessuno e quando il ciclope si mette a urlare e a chiedere aiuto ai suoi fratelli che gli domandano il nome del colpevole lui grida: “Nessuno… è stato Nessuno”. I fratelli ciclopi si mettono di nuovo a dormire pensando che Polifemo a forza di stare solo con le sue pecore è andato giù di testa. Così Dotto, a forza di stare solo con il suo dolore di romanista che ha subito la più sanguinosa sconfitta della storia del calcio romano sembra entrato in uno stato di allucinazione.

Infatti immagina che a infliggergli un così grande dolore sia stato Nessuno, una Nullità un qualcosa che non esiste e non è mai esistito e mai esisterà. Chissà forse pensa che Totti e compagni siano stati sconfitti da fantasmi, da entità astratte, da idee cartesiane, o da monadi che stanno soltanto nella testa dei filosofi o che Totti e compagni si sono figurati di avere come avversari in campo delle ombre senza volto e senza nome.

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Soltanto così si giustificano i guerrieri piangenti applauditi da coloro che li hanno sconfitti e che vedono poi alzare la coppa felici, mentre le loro mogli e i loro bambini son preda della disperazione più cupa, inferiore soltanto a quella che sta attanagliando coloro che avevano già preparato le magliette celebrative con la stella d’argento e un giornalista colto e preparato (in)Dotto a scrivere cose che sicuramente in momenti di lucidità e di razionalità non può scrivere, perché probabilmente neppure i tifosi romanisti più ostici sarebbero in grado di pensare.
Lo scrittore dalla penna leggera è stato appesantito dal macigno del tifo irrazionale.

Ora, lo so, lui potrà rispondermi, e sicuramente lo farà, che il tifo abbrutisce, e ti fa perdere il senno e finanche il lume della ragione e ti fa dire e scrivere cose di cui poi magari ti vergogni. E soprattutto, e qui ritorno nella fattispecie, non ti fa pensare che se riduci al rango di una nullità la squadra che ti ha umiliato davanti a tutto il mondo calcistico, consideri la tua squadra meno del Nulla.

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A Dotto che mi legge a mente fredda, posso soltanto dire che la storia è storia e non si cancella perché, se fosse possibile, il popolo tedesco cancellerebbe Hitler e le sue malefatte, il popolo italiano cancellerebbe le leggi razziali, il popolo russo cancellerebbe Stalin e così via verso il ritrovamento di una verginità perduta. Così i romanisti non possono cancellare che la Lazio ha più storia di loro, essendo nata dalla volontà di nove giovanotti colti e sportivi che seguivano gli ideali della fratellanza e della universalità impressi nei colori della Grecia, patria delle Olimpiadi, mentre la seconda squadra della Capitale, la As Roma, nasce dalla volontà burocratica di un gerarca fascista nato a Corropoli.

Dico anche che l’aquila Olympia non è affatto spennacchiata ma bella e rigogliosa anche troppo perché ipernutrita, e che io mi sento cugino maggiore di tanti romanisti, dei miei amici che dopo la sconfitta si sono fatti forza e si sono congratulati. Quanto a Lotito, Tare e Petkovic, so che ce li invidiate ma sappia Dotto che noi ce li teniamo ben stretti anche perché vogliamo lasciarvi con i Baldini, i Sabatini, i Pallotta e tutte le nullità che avete messo in panchina negli ultimi anni.

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Molti amici laziali mi incitano a dire a Dotto che lui parla così perché gli “abbiamo alzato la Coppa in faccia” ma io non lo farò perché sono un signore, e signore un laziale lo nasce.

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