di Ambra Notari
Donna, straniera, musulmana, con il velo. In sintesi, un arbitro di calcio. Perché chi l’ha detto che il calcio sia sport da maschi? E dove sta scritto che una giacchetta nera debba per forza essere un uomo? Chadida Sekkafi, 16enne figlia di genitori marocchini, è pronta a sfatare questi falsi miti, in qualità di primo arbitro con velo in Italia. L’esordio la scorsa domenica a Pizzighettone (Cremona), categoria Giovanissimi, ovvero suoi quasi coetanei. In campo, Oratorio San Luigi contro Stradivari Cremona: il match finisce 3 a 0 per i padroni di casa, ma il successo più grande è quello di questa giovanissima appassionata di calcio. A bordocampo, in qualità di tutor (come previsto dal regolamento a ogni esordio di un arbitro), Gian Mario Marinoni, presidente della sezione Aia (Associazione italiana arbitri) di Cremona: “Tutta la vicenda di Chadida è stata un susseguirsi di emozioni, dallo scorso ottobre, quando si è presentata con la mamma per chiedere l’ammissione al corso, fino al 15 dicembre, giorno dell’esame, superato brillantemente. Ma io, dubbi, non ne ho mai avuti”.
La madre, in Marocco, era una giocatrice di calcio. Facile capire da chi la giovane abbia ereditato l’amore per questo sport: “La mamma, però, non voleva che la figlia seguisse le sue orme. Così, da un compromesso, è nata l’idea di diventare arbitro”. Chadida è stata ammessa al corso. Con lei, 7 ragazzi e un’altra ragazza. Dopo un paio di mesi di lezioni – teoriche e sul campo, nel vero senso della parola – è arrivato il momento del debutto: “Ho scelto di assegnarle una gara speciale, con due club esempi di disciplina e integrazione”. Marinoni è stato tutti i 90 minuti a portata di voce per incoraggiarla, incitarla e aiutarla a rompere il ghiaccio: “Per lei è stata una grande emozione. Anche per la mamma, però. Pensi che, all’intervallo, mi ha chiesto di raggiungere la figlia negli spogliatoi per portarle un cioccolatino per tirarsi un po’ su. Il regolamento non lo prevede, ma ho fatto uno strappo. Risultato? È stata bravissima, pronta per i prossimi appuntamenti”. Chadida, al terzo anno del Liceo linguistico della città, ora fa parte a pieno titolo degli arbitri della sezione: “La sede nazionale dell’Aia, per il momento, mi ha dato il permesso di impiegarla limitatamente al settore giovanile. Ma non si tratta di una censura: è un modo per proteggerla, è ancora minorenne”. Il suo prossimo impegno? Il 23 febbraio nella partita Grumulus – Oratorio Castelleone.
La sezione cremonese dell’Aia non è nuova a questo genere di esperienze: raccoglie circa 90 ragazzi e 7 ragazze (“parecchio toste”), di cui 4 arbitrano nella categoria massima della provincia, la II° Divisione. Di queste, una è una ragazza di origini rumene: “Bravissima a scuola e sul campo. Ricordo quando, durante una partita, ammonì un giocatore per un brutto fallo su un avversario. Questo, arrabbiato per il cartellino giallo, andò verso di lei per dirgliene quattro. Lei alzò lo sguardo, lo fissò, e lui girò i tacchi. Non aprì bocca”. Perché le donne arbitro, secondo Marinoni, garantiscono più rispetto, credibilità, meno contestazioni e meno cartellini: perché a loro, spesso, basta un’occhiataccia. Anche il ‘reparto’ maschile è particolarmente multietnico: ci sono ragazzi originari della Romania, della Croazia, della Bulgaria, addirittura 2 della Nigeria. Non male per una Regione che vede seduto sulla poltrona più alta un esponente della Lega Nord: “Sono molto orgoglioso del nostro gruppo, lo considero la mia più grande conquista”.
Solo nel 1990 il mondo del calcio italiano ha aperto alle donne arbitro. Cristina Cini è stata la prima guardalinee donna in Serie A, arrivando in Champions League, fino alle Olimpiadi di Pechino del 2008. 24 anni dopo, il primo velo: “Secondo me, le donne potrebbero arbitrare a qualsiasi livello. Sarebbero anche meglio degli uomini: il riscontro l’ho io nel mio piccolo. L’unico problema potrebbe essere l’aspetto atletico: davanti a giocatori altissimi, potrebbe nascere qualche problema. E poi: nelle serie maggiori, oggi sono 6 gli arbitri per una partita. Al nostro livello, ce n’è solo uno, che deve controllare giocatori, allenatori, dirigenti, pubblico, tempo: cos’è più difficile?”.
Davanti alle immagini di Chadida velata tra le giovani promesse del calcio cremonese, impossibile non pensare a quello che succede troppo spesso nei nostri stadi: cori razzisti contro giocatori di colore, lancio di banane, discriminazione territoriale. “La storia di Chadida è un messaggio di speranza. Perché non è un velo che fa la differenza”.