Ancelotti, il trionfo della normalità
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Ancelotti, il trionfo della normalità

La vittoria più bella di Ancelotti è stato il riconoscimento pubblico dei suoi meriti da parte della stella di prima grandezza della squadra, Cristiano Ronaldo

Ancelotti, il trionfo della normalità
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30 Aprile 2014 - 21.40


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Dopo la sconfitta del Camp Nou contro il Barcellona dello scorso 26 ottobre, in quanti avrebbero scommesso sul Real Madrid vincitore della Coppa del Re proprio contro i blaugrana, ancora in corsa per la vittoria del campionato e in finale di Champions League 12 anni dopo l’ultima volta? E chi avrebbe puntato un euro su Carlo Ancelotti, impallinato all’epoca dalla stampa spagnola e con una rosa a disposizione ancora tutta da modellare a sua immagine e somiglianza?

Il calcio non è una scienza esatta e quello che è vero un giorno, non lo è più quello dopo: lo sanno benissimo anche a Madrid, dove “l’ansia da Decima” porta a emettere giudizi sommari con eccessiva fretta, non tenendo conto del passato di un allenatore che viene da tre finali di Champions League disputate, di cui due vinte, e che ha vinto in tutti i campionati nei quali ha lavorato. Col trionfo dell’Allianz Arena, ha raggiunto a quota 4 Marcello Lippi e Munoz e in caso di vittoria affiancherebbe un mito come l’ex tecnico del Liverpool Bob Paisley.

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Quando oggi tutti salgono sul carro del vincitore, noi facciamo semplicemente notare di non essere mai scesi, nemmeno per un istante. La vittoria più bella di Ancelotti è stato il riconoscimento pubblico dei suoi meriti da parte della stella di prima grandezza della squadra, Cristiano Ronaldo, che ha anteposto alla propria autocelebrazione per il record dei 16 gol nella competizione l’esaltazione dell’allenatore italiano. Un uomo capace di ergersi leader di un gruppo e di guadagnarne la stima senza bisogno di urlare nello spogliatoio e di portare all’estremo il grado di tensione della squadra, facendola sentire tutti contro tutti.

Ai mind games di Mourinho e alla predominanza del suo ego su tutto il resto, Ancelotti preferisce la forza delle idee e la capacità, con la sua consueta pacatezza, di adattarsi al contesto in cui si trova. Ha avuto la bravura di capire che, per come è costruito, questo Real può giocare solo così, ben organizzato dal punto di vista difensivo senza mai rinunciare a ripartire con i suoi letali contropiedisti.

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L’allenatore italiano ha corretto il tiro, passando dall’iniziale 4-2-3-1 all’attuale 4-3-3 che ha esaltato l’estro di Modric, Ronaldo e Bale e restituito un ruolo da protagonisti ai vari Coentrao, Di Maria e Benzema. La gestione del gruppo è tutto nel calcio di oggi e far sentire sempre importante anche gli elementi della squadra esclusi per larga parte della stagione alla fine paga. Negli scorsi anni, Mourinho creò delle fazioni all’interno della squadra e fu l’ala spagnola, capeggiata da Casillas e Sergio Ramos, ad entrare ben presto in rotta di collisione presentando il conto al termine dello scorso campionato. Ancelotti no, ha fatto sentire tutti quanti partecipi di un progetto ambizioso, riportare il Real Madrid nella finale del torneo più ambito, e il destino potrebbe metterlo di fronte proprio al suo predecessore il prossimo 24 maggio a Lisbona. Sarebbe l’epilogo più affascinante e forse anche quello più scontato…

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