Voglio la testa di Ryan Giggs – storia raccontata da Rodge Glass e pubblicata in Italia da 66thand2nd – prende le mosse da un immaginario «peggior debutto della storia della Premier League» per parlare di rapporti familiari, ossessioni e follia.
Sarebbe un grande errore considerare questo romanzo un emulo del celebre “Febbre a novanta” di Nick Hornby.
Mikey Wilson, il protagonista, era uno dei ragazzi di Ferguson, un talentuoso giovane calciatore destinato ad entrare nella storia del Manchester United e del calcio mondiale.
Il suo debutto con la prima squadra, però, dura solo centotrentatré secondi: il tempo per Wilson di spezzare la propria gamba e quella di un giocatore dell’Oldham Athletic, intervenendo in modo scomposto sull’avversario per recuperare un pallone perso da Ryan Giggs.
Quei centotrentatré secondi lo mettono fuori dal calcio che conta ancor prima di entrarvi, mandando in frantumi i suoi sogni e scaraventandolo in una realtà – quella degli anonimi campi di provincia e dei lavori dei comuni mortali – cui è assolutamente impreparato.
Wilson è ossessionato dal calcio perché è tutto ciò che gli è stato insegnato, l’unico mezzo che possiede per interpretare il mondo, l’esclusivo punto di contatto con suo padre, suo zio e suo fratello, il solo valore da trasmettere a suo figlio.
Incolpare Ryan Giggs del proprio fallimento come calciatore e come uomo è un esito scontato per il percorso di Mikey, cresciuto per essere un calciatore, sedotto ed abbandonato dalle ambizioni coltivate per lui da suo padre, travolto dalla solitudine e dall’incapacità di voltare pagina.