Dallo Scudetto ad Auschwitz: la storia di Weisz
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Dallo Scudetto ad Auschwitz: la storia di Weisz

Nel giorno della memoria ricordiamo il grande tecnico ungherese, allenatore di Inter e Bologna, morto in una camera a gas.

Arpad Weisz
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27 Gennaio 2015 - 10.39


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Oggi si compiono settant’anni esatti dalla liberazione del campo di concentramento nazista di Auschwitz. In tutto il mondo si celebra Il Giorno della Memoria, per non dimenticare mai gli orrori e l’abominio dell’Olocausto al quale anche lo sport ha pagato un tributo pesantissimo. Arpad Weisz, allenatore dell’Inter e del Bologna, passò “Dallo scudetto ad Auschwitz”. Questo è il titolo dello splendido libro di Matteo Marani che racconta la storia di un uomo e di un allenatore straordinario.

Non lo sapeva nemmeno Enzo Biagi, bolognese e tifoso del Bologna. «Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito», ha scritto in “Novant’anni di emozioni”.

E’ finito ad Auschwitz, è morto la mattina del 31 gennaio ’44. Il 5 ottobre del ’42 erano entrati nella camera a gas sua moglie Elena e i suoi figli Roberto e Clara, 12 e 8 anni.Questa è la risposta, documentata, di Matteo Marani, bolognese, laureato in Storia (e questo spiega qualcosa). Gli ci sono voluti tre anni di ricerca, scrupolosa e insieme ossessiva, perché gli pareva di inseguire un fantasma.

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Ed ora questo libro: “Dallo scudetto ad Auschwitz” (ed. Aliberti), preciso come una banca svizzera, dolente come una cicatrice. Ho idea che Marani abbia sentito le voci nel vento, per dirla con Guccini, bolognese d’adozione. Forse lo ha spinto una coincidenza: abita a meno di 300 metri da dove abitava Weisz. Certamente lo ha sorretto una volontà da detective della memoria.

E così dai registri di classe del ’38, ritrovati in uno scantinato, è arrivato a conoscere uno degli amici del piccolo Weisz, un amico vero che per tutti questi anni aveva conservato lettere e cartoline che gli arrivavano dalla Francia, dall’Olanda, da dove i Weisz cercavano di sottrarsi ai cacciatori dopo che il Bologna aveva licenziato il suo tecnico in omaggio alle leggi razziali.

Arpad Weisz era stato un ottimo giocatore, ala sinistra. Nell’Olimpica ungherese del ’24 fa coppia con Hirzer, la Gazzella, che sarebbe stato il primo straniero alla corte degli Agnelli.

Gioca nel Padova (poco), nell’Inter, ma un infortunio serio lo porta sulla panchina nerazzurra come tecnico. È lui a lanciare in prima squadra Peppino Meazza, a 17 anni, lui ad allenarlo individualmente, al muro, perché abbia la stessa padronanza dei due piedi, è lui a vincere lo scudetto del ’30, sempre lui a scrivere, a quattro mani col dirigente Aldo Molinari, il manuale “Il giuoco del calcio”, con prefazione di Vittorio Pozzo che non era l’ultimo arrivato.

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Ancora lui a importare in Italia il sistema di Chapman, a sperimentare i ritiri (in località termali), ad allenarsi in braghe corte insieme ai giocatori, quando le foto di Carcano (famoso quinquennio juventino) lo mostrano in giacca e cravatta. Gli allenamenti si dirigevano, non si facevano. “Il mago” lo chiama “Calcio illustrato”.

Col Bologna «che tremare il mondo fa» vince due scudetti consecutivi. È il tempo di Schiavio, di Monzeglio che insegna il tennis ai figli di Mussolini, dell’uruguagio Sansone che sposa la cassiera del bar Centrale, di Fedullo, di Fiorini detto il Conte Spazzola che muore nel ’44 sotto una raffica dei partigiani, e ancora di Ceresoli, di Biavati che esegue il doppio passo e poi crossa al bacio per Puricelli detto Testina d’ oro. Al Littoriale, Weisz chiede un’equipe fissa di giardinieri per il prato, un laboratorio medico-dietetico. Nella finale del Trofeo dell’ Esposizione, a Parigi, il Bologna batte 4-1 i maestri del Chelsea.

Ma il cerchio intanto si stringe intorno a una famiglia felice. Il figlio non può iscriversi a scuola. Il padre non può allenare. Il Bologna lo licenzia a fine ottobre del ’38, dopo un 2-0 alla Lazio. Al suo posto l’austriaco Felsner. La famiglia Weisz lascia Bologna in treno, direzione Parigi. La speranza è di trovare un lavoro. Tre mesi trascorsi in albergo indeboliscono le finanze e non danno risultati. Si punta sull’Olanda, Dordrecht. Città piccola, squadra semidilettantistica, ma con Weisz in panchina batterà più d’una volta il grande Feyenoord. Ma anche in Olanda, paese con un tasso altissimo di collaborazionismo, si stringe il cerchio.

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