Ecco perché la Juventus ha scritto la storia
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Ecco perché la Juventus ha scritto la storia

Analisi su una squadra che in quattro anni ha gettato le basi per scrivere la storia chissà per quanto tempo. [Vito Cogoni]

Ecco perché la Juventus ha scritto la storia
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4 Maggio 2015 - 17.14


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di Vito Cogoni

La Juventus ha vinto lo scudetto. E questa ormai non è più una notizia. C’è chi dice che sono 33, chi li riduce a 31, come effettivamente risultano in FIGC, ma il numero più ricorrente di questo trionfale campionato bianconero è un altro: il 4, come il numero dei tricolori consecutivi conquistati dalla società di Agnelli. E questa sì che è una notizia. Al di là dei favori del pronostici dopo i 3 titoli precedenti, al di là del cammino in solitario che già da febbraio era lecito definire cavalcata in solitario, questa Juve ha scritto la storia. Perché, oltre allo stesso club torinese nel famoso quinquennio, dagli almanacchi del calcio italiano si evince che solo altre due società sono riuscite a fare di meglio, con 5 scudetti consecutivi. In merito tuttavia alcune puntualizzazioni sono opportune. Una di esse è il Torino, anzi il Grande Torino, come giustamente viene definito. Erano gli anni della guerra, e poi quelli post-bellici. E proprio qui sta l’inghippo. 1942-43, 1945-46, 1946-47, 1947-48, 1948-49: sulla carta nessuna squadra si frappone ai granata, ma per due anni il campionato non si giocò, anzi a dirla tutta si giocò, ma spezzando l’Italia del calcio in due, con il Campionato Romano di Guerra e il Campionato dell’Alta Italia, giocato e non vinto, dal Toro (in quell’anno sponsorizzato dalla FIAT!). E non ce ne vogliano i tifosi torinisti, che sicuramente avrebbero continuato a festeggiare il tricolore per anni qualora il fato non avesse infierito su quella fantastica, gloriosa e mitica squadra. L’altro pokerissimo di scudetti, ben più recente, è secondo gli annali quello dell’Inter morattiana. Ma polemiche su Calciopoli a parte, vincere uno scudetto a tavolino, con mesi di ritardo dal termine di una stagione chiusa al terzo posto a 15 punti dalla vetta, e con l’onta e il peso di una prescrizione dall’accusa di illecito sottoscritta dallo stesso procuratore federale che smontò la cosiddetta cupola di Moggiana memoria… non è propriamente come vincere, e festeggiare, sul campo.

Quindi, dicevamo, questa Juve ha scritto la storia. Riuscendo, va sottolineato, dove neanche due mostri sacri come Trapattoni e Lippi riuscirono. A loro difesa va però precisato che quest’impresa ha una doppia firma. Quella di Antonio Conte, vero e proprio artefice della rinascita bianconera dopo il terremoto Calciopoli, la smobilitazione, la Serie B. I primi tre scudetti, su tre campionati alla guida dei bianconeri, sono un capolavoro dell’ex capitano bianconero. Che nessuno juventino potrà mai screditare, o disonorare, neanche dopo quell’addio improvviso, anche impavido e quasi violento che nell’ultima estate ha brutalizzato ogni certezza juventina. Tutt’altro che rinvigorita dal prode Marotta e dal fido Paratici, che in appena 24 ore seppero togliere dal mazzo la carta vincente, la carta Max Allegri. Il 17 luglio 2014, nel giorno della presentazione, il tecnico dichiarò candidamente, e serenamente, che avrebbe “conquistato i tifosi con il lavoro e i risultati”. In pochi gli avevano creduto. 9 mesi dopo siamo tutti qui a celebrare la pazienza, la sagacia, l’astuzia, l’intelligenza calcistica del livornese. Perché se si dovesse scegliere una firma da apporre su questo quarto scudetto consecutivo bianconero non si potrebbe che indicare la sua. La pazienza nell’accettare gli attacchi e la diffidenza di un mondo, quello juventino, che aveva calcisticamente osteggiato e combattuto e che si era sentito aggredito nel postpartita di ‘muntariana’ memoria. Un mondo che ha saputo far ricredere con la sagacia di chi sa di valere, nonostante le pesanti critiche incassate, a testa alta, negli ultimi anni alla guida del Milan. L’astuzia di chi ha saputo capire che non aveva senso stravolgere una squadra tricampione d’Italia: meglio ripartire dagli stessi uomini, meglio privilegiare il solito modulo tattico, meglio aspettare il momento opportuno per ridisegnare gli schemi in base al proprio credo. E l’intelligenza calcistica nell’alternare gli uomini, e il modulo stesso visto che il 3-5-2 non è mai stato archiviato definitivamente, in base alle necessità tattiche: leggi Marchisio al posto di Pirlo quando occorreva un po’ di copertura in più, leggi Pereyra e non Vidal dietro le punte per la maggiore facilità nel saltare l’uomo, leggi Morata e non più Llorente quando serviva un po’ più di tecnica e dinamismo.

Max Allegri prima firma, senza dubbio. Ma qualche altro nome che si è distinto tra gli altri nel percorso verso il titolo italiano va certo fatto. Gianluigi Buffon, bandiera e leader indiscusso, a 37 anni suonati para ancora come pochi al mondo. Con la sua grinta e la sua ‘fame’ la fascia di capitano bianconero al braccio non fa una grinza. Leonardo Bonucci, per la crescita costante come difensore, per la capacità innata di costruire il gioco dalla terza linea, per il non comune pregio di non ‘rompersi’ mai e di essere fermato molto raramente anche dal giudice sportivo, e infine, quest’anno in particolare, anche per il fiuto sottoporta: se il sigillo contro la Roma a ottobre aveva stroncato le velleità giallorosse (a proposito, mezza Italia ancora ride nel sentire il “vinceremo lo scudetto, siamo più forti della Juventus e quest’anno lo dimostreremo sul campo” di Rudi Garcia nei giorni successivi al match), il gol in contropiede, palla al piede, contro la Lazio ha fatto scattare i titoli di coda.

Claudio Marchisio, che capitano non è ma un giorno lo diventerà. Che fosse una garanzia giocando da interno lo si sapeva già, che lo fosse anche da mediano metodista no. Se senza Pirlo, con tutto il rispetto per le pennellate nei lanci e nella precisione al tiro del regista, la Juve ha ‘girato’ lo stesso il merito è anche del Principino bianconero (non ce ne vogliano i due pilastri Pogba, vero e proprio top player nonostante l’età, e Vidal, autore del gol-scudetto contro la Samp). E poi c’è un certo Carlitos Tevez. Bomber, assistman, imbastitore di gioco, trascinatore, anima, anche difensore all’occorrenza, l’Apache ha avuto una costanza quasi imbarazzante. Trovare una gara flop nel suo campionato è impresa praticamente impossibile. Per questo perderlo sarebbe un delitto. Ma d’altronde si sa, i giocatori, e gli allenatori, vanno, la maglia resta. E quella bianconera, al di là degli addii celebri, continua ad essere vincente.

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