Era tornato. A Bogliasco, sede della Sampdoria, dove mancava dal 2011, quando mandò a quel paese la buon’anima dell’ex Presidente Riccardo Garrone, che gli voleva bene come a un figlio. Tornava in blucerchiato per due motivi: aumentare il livello tecnico della squadra e dare un segnale forte ad una tifoseria sfiduciata dal recente tracollo europeo per mano del modesto Vojvodina Novi Sad. Poco prima del preliminare di Europa League infatti, le porte per un ritorno di Cassano a Genova sembravano chiuse, almeno a sentire Ferrero e Zenga. Ma tant’è. Nel calcio sappiamo bene come vanno certe cose. Le situazioni cambiano, i pensieri mutano. Anche così, da un giorno all’altro. Fatto sta che il trentatreenne fantasista “disoccupato” firma un contratto di due stagioni a settecentomila euro l’anno. Pronti via ed è il solito circo di parole al miele: “Sempre forza Samp” fa lui. Gli fa eco il Presidente: “Antonio non viene per due anni, viene per sempre. Sarà la nostra bandiera”. Un fazzoletto, grazie.
In meno di quattro mesi però, Cassano si è visto poco o nulla in campo. “Si comporta benissimo” ha spesso tenuto a precisare Zenga. Le voci da Bogliasco ci hanno raccontato di un Cassano disciplinato e impegnato al massimo per tornare fisicamente al top. Nel frattempo la Samp non va male in campionato, anzi. La coppia Eder-Muriel spesso dà spettacolo. Fino alla cronaca di questi giorni: via Zenga e via ai sussurri di un rapporto non proprio idilliaco tra Antonio e Walter. Voci smentite poi da quest’ultimo. Al suo posto ecco Montella, vecchio amico di Cassano ai tempi della Roma. La domanda è semplice: saprà risorgere l’ex folletto di Bari Vecchia oppure siamo davvero giunti ai titoli di coda della sua “pazza” carriera? Lo scopriremo presto.
Nel frattempo riavvolgiamo brevemente il nastro della favola di questo campione incompiuto, dotato di un talento enorme, identico all’innata capacità di buttarlo via. Al secolo, era “Fantantonio da Bari Vecchia”, il bimbo baciato dagli dèi, che si mostrò in tutto il suo splendore in una fredda serata di dicembre del 1999; Bari e Inter al San Nicola ferme sull’uno a uno. Minuto ottantotto, il piccolo Antonio scappa via sulla sinistra, stop al volo di tacco, rallenta, si accentra, lascia sul posto Blanc e Panucci e fredda Ferron con un destro definitivo. Due a uno, stadio impazzito e pure lui, che corre festante sotto la curva. Aveva diciassette anni. La sua storia inizia lì. Ha le stigmate del fuoriclasse. Certo, è un ragazzino estroverso dicono a Bari. Ma chi non lo è a quell’età. Crescerà e maturerà. Non andò proprio così.
Nell’estate del 2001, la Roma scudettata di Sensi se lo porta a casa per la cifra boom di sessanta miliardi di vecchie lire. Arriva a Trigoria e trova Totti, Batistuta, Montella e via cantando. E’ allegro, esuberante. Molto. Troppo. In allenamento è capace di giocate impensabili. Anche di ragazzate eccessive però, che presto prenderanno il nome di “cassanate” e che lo accompagneranno per tutto il resto della carriera. Come quella volta che diede del vecchietto a Batistuta, non l’ultimo arrivato diciamo così. Non la prese bene Bati, per usare un eufemismo. Oppure quando pensò bene di prendere in giro in allenamento il gigante nero Lassissi, quasi due metri per lui, che lo rincorse per il campo.
Tra alti e bassi giocò bene le prime due stagioni in giallorosso. Poi, nella stagione 2003/2004, l’esplosione. Trentatrè partite e quattordici gol. Fa il fenomeno, senza dubbio. In attacco forma con Totti una coppia eccezionale, i due s’intendono a meraviglia e portano la Roma fino al secondo posto, alle spalle del Milan di Ancelotti. Sicuramente la sua miglior stagione in assoluto. L’anno dopo le cose peggiorano e le “cassanate” aumentano. Con un suo gol a Bergamo salva la Roma dalla B. L’anno dopo arriva Spalletti, i due non si capiscono fin da subito e nel gennaio 2006 “Fantantonio” viene ceduto al Real Madrid. Si, avete capito bene. Lì dove qualsiasi calciatore sogna di arrivare. Vola al Bernabeu per la presentazione ufficiale vestito “alternativo”, diciamo così. Sembra un po’ uno di quei duri da saloon dei film western, avete presente? Apparentemente però, in realtà è un genuino dal cuore grande. All’esordio la butta subito dentro. Poi cala. Soprattutto, ricomincia con le “cassanate”. La decisiva, forse, è quella in cui viene ripreso dalle telecamere a fare l’imitazione di Capello, suo allenatore, ai compagni di squadra durante l’intervallo di una partita della Liga. Aumenta di peso, si allena male, dicono. Lo mandano via di lì a poco. Approda a Genova, sponda blucerchiata. Quattro ottime stagioni. Lui e Pazzini fanno tornare i tifosi della Samp ai tempi memorabili di Mancini e Vialli. La Sampdoria torna in Champions League. “Peter Pan”, altro soprannome azzeccato, si sente a casa a Genova. Si sposa, ha un figlio. Insomma, mette su famiglia. Sembra cambiato, più pacato, tranquillo. Sbagliato. Dopo una dura litigata con Riccardo Garrone viene cacciato.
A gennaio 2011 è del Milan. Nel giorno della presentazione dice, senza mezzi termini: “Il Milan è la mia ultima tappa. E’ il top, dopo di lui solo il cielo”. Bene. Aiuta la squadra a conquistare lo Scudetto.
A fine agosto 2012 passa sulla sponda opposta, l’Inter. Dice subito, spavaldo: “Dopo il cielo c’è solo l’Inter”. Bene. Resta solo un anno. Poi va al Parma, dove gioca benissimo la prima stagione, Poi, nel gennaio del 2015, complice la fallimentare situazione economica del club, rescinde il contratto. Il resto è storia di questi mesi. E’ Samp. Già, chissà se “Peter Pan” ha ancora qualche pensiero felice per volare.