Ha avuto vita breve il protocollo Covid per la Serie A che era stato votato meno di una settimana fa. Un altro è stato ratificato da un’intesa in Conferenza Stato-Regioni, e ridisegnato come format da utilizzare per tutti gli sport di squadra.
Il documento, che prima di diventare una circolare del governo dovrà comunque passare l’esame del comitato tecnico scientifico, fissa un principio: le partita verranno rinviate solo al raggiungimento di una soglia di positività del 35% all’interno del “gruppo squadra”.
I 13 disponibili previsti come limite invalicabile di sopportazione dal precedente protocollo della Serie A non esistono più. E anche se ora la Lega lo rivenderà come una piccola vittoria contro lo strapotere disordinato delle Asl, di fatto rimette il governo in sella e l’autogestione privatistica del calcio al suo posto.
c’è una nuova interpretazione del numero dei disponibili: ora il metro è il “gruppo squadra”, nel quale non dovrebbero essere inclusi i giocatori non professionisti, i Primavera.
Una percentuale che garantisce comunque allo sport una sua unicità, perché in pratica il governo ammette la possibilità che con il 34% di atleti positivi si continui a giocare. In Serie A, per esempio, si andrebbe avanti anche con 200 giocatori positivi. Se trasponessimo la stessa tolleranza alla “società civile”, è come se l’Italia decidesse di non fermarsi con 20 milioni di cittadini positivi.
Si tratta dunque di una vera e propria “larga intesa”, che riguarda tutti gli sport di squadra, ma che ovviamente è stata innescata dagli inciampi della Serie A, che per stessa ammissione dei suoi dirigenti “s’è fatta trovare impreparata” dopo due anni di pandemia.
Per il ministro per gli Affari regionali Mariastella Gelmini è “un punto di equilibrio ragionevole, a tutela sia del mondo sportivo che della salute pubblica”.