Sandro Mazzola e il calcio infinito: “Rivera? Ero più forte io. A 80 anni sogno ancora di dribblare”
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Sandro Mazzola e il calcio infinito: “Rivera? Ero più forte io. A 80 anni sogno ancora di dribblare”

Parla l'indimenticabile centrocampista dell'Inter e della Nazionale: "Quando guardo il calcio in televisione cerco innanzi tutto di capire se quelli di oggi sono più forti o più scarsi di me"

Sandro Mazzola e il calcio infinito: “Rivera? Ero più forte io. A 80 anni sogno ancora di dribblare”
Sandro Mazzola
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30 Agosto 2022 - 11.22


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di Antonello Sette

“L’8 novembre compirò ottanta anni, ma mi sento ancora un calciatore in attività”, racconta al Foglio Sandro Mazzola, fuoriclasse di un calcio indimenticabile, che gioca ancora la sua partita con l’entusiasmo di un bambino innamorato del suo pallone.

“Quando guardo il calcio in televisione”, racconta al Foglio, “cerco innanzi tutto di capire se quelli di oggi sono più forti o più scarsi di me. Subito dopo, penso a quello che avrei fatto io, alla giocata che avrei tentato. Io la palla non l’avrei mai mollata”.

Dicono che il calcio di una volta non sia paragonabile a quello di oggi perché era più lento…

“I fenomeni di allora sarebbero fenomeni anche oggi. Certo, dovrebbero rinunciare ad alcune abitudini consolidate. Una volta, quando c’era il ritiro, si pensava a scappare. A mezzanotte ci calavamo dalla finestra e tornavamo in stanza all’alba per non farci beccare dall’allenatore. Oggi quelle fughe notturne sono impensabili. I fenomeni, però, sono riconoscibili allo stesso modo. Gli dai la palla e loro vanno”.

Il giorno della sua carriera che più le ritorna in mente?

Forse la semifinale dei mondiali del ’70 contro la Germania. Capivo che potevo far gol. Continuavo a cercarlo, ma non arrivava”.

A proposito di quella partita, la sua rivalità con Gianni Rivera è diventata leggenda. Mi dica una buona volta la verità. Si sentiva più forte dell’abatino, come lo aveva soprannominato Gianni Brera?

“Ma certo che ero più forte, anche perché lui era il Milan e io l’Inter. Durante le camminate con tutta la nazionale e i giornalisti al seguito che ci spiavano, noi facevamo finta di parlare uno con l’altro, ma anche far finta era una violenza che facevamo a noi stessi”.

Me lo ripeta che si sentiva più forte di Rivera…

“Assolutamente sì e di tutti, non solo di lui”.

C’è un aneddoto che non ha mai rivelato?

“Quando scappavamo, calandoci dalla camera da letto e andavamo a fare zig zag”

Che vuol dire fare zig zag?

“Vuol dire fare chak chak con una delle donne che ci aspettavano sotto l’albergo per chiederci dei soldi, in cambio di una prestazione amorosa. La notte, davanti all’albergo, c’era sempre un movimento incredibile”.

Ma davvero pagavate le donne in attesa?

“Sì, pagavamo e non dormivamo”.

Che cosa le manca di quando giocava?

“Il dribbling e il tunnel. Erano le due cose che cercavo sempre di fare, quando mi trovavo a cinque, dieci metri dall’area di rigore. Guardavo la porta, guardavo i compagni, guardavo da una parte e andavo dall’altra. Capitava che mi beccavano, ma il più delle volte andavo”.

E’ stato complicato diventare Sandro Mazzola, essendo figlio di un’icona del calcio, quale era stato suo padre Valentino?

“All’inizio è stato difficilissimo. Quando andavo a fare i provini, al rientro negli spogliatoi, sentivo gli allenatori che, parlando fra loro, dicevano: “Ma dove vuole andare quello lì. Non è mica suo padre”. Ogni volta, era come se il mondo mi cadesse addosso. Peraltro, avevano ragione”.

Quindi, lei pensa che uno più forte di lei ci sia stato ed era suo padre?

“Lui era molto più forte di me, anche perché aveva una forza fisica che a me mancava”.

Che cosa non le piace del calcio di oggi?

“Si parla troppo. Si dovrebbe parlare meno e giocare di più”.

Si è passati da famiglie come quella dei Moratti agli sceicchi arabi, ai russi, ai cinesi e ai fondi americani. E’ per questo che tanta gente è rimasta ancorata al calcio del passato?

“Penso proprio di sì. Quello era il nostro calcio. Eravamo tutti insieme sulla stessa barca: calciatori, tifosi, giornalisti. Tutti insieme per un viaggio sempre più grande”.

Lei ha giocato con Giacinto Facchetti. Per intere generazioni di appassionati di calcio, Facchetti era, oltre che un eccezionale campione, l’icona della lealtà sportiva. Eppure il calcio post moderno non ha esitato a provare a infangarne la memoria…

“Purtroppo accadono anche queste cose. Chi sta dall’altra parte della barricata spara e rispara, per cercare di demolire, ma il Facco non può essere demolito. E’ stato un grande e lo rimarrà per sempre”.

Sogna ancora Sandro Mazzola?

“Sogno tutte le notti e sempre una partita di calcio. Sogno che la partita sta per finire e ogni volta c’è qualche cosa che mi fa arrabbiare. Grido, mi sveglio e mia moglie mi dice: “Che fai? Giochi ancora?” Sì. Io gioco ancora. E ancora mi arrabbio, se non finisce come deve finire”.

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