Sogni dissolti da un colpo di pistola: in ricordo di Luciano Re Cecconi, morto il 18 gennaio 1977
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Sogni dissolti da un colpo di pistola: in ricordo di Luciano Re Cecconi, morto il 18 gennaio 1977

Come sarebbe ora Luciano sulla soglia dei settanta? Sarebbe ancora biondo o si sarebbe incanutito lentamente?

Sogni dissolti da un colpo di pistola: in ricordo di Luciano Re Cecconi, morto il 18 gennaio 1977
Luciano Re Cecconi
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Giancarlo Governi Modifica articolo

18 Gennaio 2024 - 09.04


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Quel giorno Luciano era allegro perché, dopo un lungo infortunio, aveva ripreso gli allenamenti e il dottor Ziaco gli aveva detto che era pronto per ritornare in campo. Era andato a fare una passeggiata con due compagni, Ghedin e Rossi. Il loro itinerario era quello consueto, Via Flaminia Vecchia  e poi Via Nitti dove c’era il profumiere amico e laziale. Quattro chiacchiere: “Cosa fate domenica… con chi giocate…. Tu, Cecco, giocherai….”
E le risposte: “Giochiamo con il Cesena, in squadra ci sono i nostri vecchi compagni Oddi e Frustalupi… noi giochiamo per vincere ma la vittoria non ce la portiamo da casa, come dite voi romani, il Cesena è una squadra ostica l’anno scorso ha fatto un ottimo campionato… io questa mattina ho fatto un buon allenamento con la squadra, il mister era contento. Mi ha detto “se te la senti domenica giochi. Decidi tu…”.

“E tu cosa deciderai?”
“Io non vedo l’ora di giocare, sono quasi tre mesi che sono fuori… vedrò nei prossimi giorni”.
C’è Ghedin che lo incalza: “E dai che ti sei riposato abbastanza… è ora che torni a guadagnarti la pagnotta”
“Altro che pagnotta, io alla Lazio mi sono guadagnato un forno intero…”
“Dai signor fornaio, usciamo”
L’amico profumiere: “Esco con voi, accompagnatemi vado da Tabocchini l’orefice qui vicino, gli porto due flaconi che mi ha ordinato”.

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Rossi saluta e se ne va, deve tornare a casa.
Dal negozio del profumiere al gioielliere sono pochi passi, il profumiere entra seguito da Ghedin e da Cecco. Il negozio è piccolo, dentro c’è il macellaio della zona amico di tutti, e poi la moglie e i figli del gioielliere che nel retro stanno facendo i compiti. E’ un attimo, uno sparo Cecco cade a terra ferito a morte.
“Ghedo, non te ne andare rimani qui” fa appena a tempo a mormorare questa frase che perde conoscenza.
Non si può aspettare l’ambulanza, arriva una gazzella della polizia, lo caricano e lo portano al San Giacomo dove c’è l’amico Ziaco. Nella sala operatoria giunge cadavere.

La notizia arriva prima ai suoi compagni, poi a Roma e all’Italia tutta. Chi lo conosce non riesce a capacitarsi di come siano andate le cose. Non è possibile che  il gioielliere che ha sparato non conoscesse Re Cecconi, quasi un vicino di casa. E se non si fossero conosciuti perché Cecco, persona riservatissima, sarebbe entrato a fare uno scherzo nel negozio di uno sconosciuto?

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E poi la famosa frase “fermi tutti questa è una rapina” nessuno dei presenti l’ha sentita, neppure Ghedin, il quale al processo cambiò versione, dando molte chance ai sostenitori della legittima difesa. Disse che Cecco aveva pronunciato quella famosa frase, anche se smentito dall’amico profumiere, che il gioielliere aveva puntato prima la pistola su di lui che però aveva avuto la prontezza di alzare le mani e poi aveva sparato su Cecco colpendolo al torace, chiaramente con l’intenzione di ucciderlo.
La società Lazio, intascò l’assicurazione e poi si costituì parte civile soltanto formalmente.
I giornali trattarono Cecco, come un povero cretino, un ingenuotto che andava in giro a fare scherzi pericolosi.
Al processo nessuno lo difese e arrivò, ampiamente annunciata, la sentenza di assoluzione con formula piena del gioielliere.

La famiglia di Cecco, la moglie e i due bambini, tornarono a Nerviano: la loro favola bella fu stroncata da quel maledetto colpo di pistola.
Una folla immensa, migliaia di persone in lacrime parteciparono al suo funerale.
Come sarebbe ora Luciano sulla soglia dei settanta? Sarebbe ancora biondo o si sarebbe incanutito lentamente? Non lo sapremo mai perché Luciano ci ha lasciato che aveva appena compiuto 28 anni. Aveva messo su famiglia con una ragazza del suo paese che le aveva regalato due bambini, viveva in una bella casa in un quartiere borghese di Roma dove contava di rimanere anche alla fine della carriera. Anche se pensava con affetto a Nerviano, il paese in cui era nato e dove ancora vivevano tutti i suoi cari, ed era grato al calcio che lo aveva fatto uscire da una condizione di semipovertà per portarlo alla fama e a una vita agiata.

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Il presidente Lenzini gli aveva promesso un posto da dirigente. Roma gli piaceva, gli piaceva la Lazio, gli piacevano i suoi compagni, con qualcuno di loro aveva stretto un rapporto di fratellanza. Come con Gigi Martini che gli aveva fatto vincere la paura e gli aveva insegnato a buttarsi con il paracadute.
Tutto dissolto in un attimo da quel colpo di pistola.

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