Francesco e Kirill: uno condanna la guerra, l'altro la 'benedice' in nome del nazionalismo e dell'omofobia
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Francesco e Kirill: uno condanna la guerra, l'altro la 'benedice' in nome del nazionalismo e dell'omofobia

Per il patriarca di tutte le russie siamo dunque alla Guerra Santa, quella che in altri contesti chiamiamo “jihad”. E il patriarca l’ha giustificata, sulla base di questa negazione dell’altro, di qualsiasi altro

Francesco e Kirill: uno condanna la guerra, l'altro la 'benedice' in nome del nazionalismo e dell'omofobia
Papa Francesco e il patriarca di tutte le Russie Kirill i
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

8 Marzo 2022 - 17.05


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Otto marzo 2021. Papa Francesco rientra in Vaticano dall’Iraq. Si conclude un pellegrinaggio straordinario, che ha posto il suggello alla teologia della fratellanza. La fratellanza per Francesco è più forte del fratricidio e per renderlo chiaro ha detto proprio partendo per l’Iraq di partire come “Pellegrino e penitente”. 

Compiendo questa scelta Francesco sapeva che si sarebbe presentato così, pellegrino e penitente, anche a Mosul, la città martire dell’Isis, da dove i cristiani sono stati cacciati con ferocia dall’Isis e dove è stato perpetrato il genocidio degli yazidi. Andando da pellegrino voleva dire di essere un pellegrino nei luoghi dove il fratricidio aveva tentato di estirpare anche i suoi, la sua comunità. Andarci da penitente voleva dire che Francesco sapeva che, nonostante la ferma contrarietà della sua Chiesa, molti musulmani avevano erroneamente ma comprensibilmente percepito la guerra del 2003, l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e gli amici “volenterosi”, come una “crociata”. Dunque “pellegrino” e “penitente”.  La teologia della fratellanza vede trave e pagliuzza, nel proprio come nell’altrui nell’occhio, perché sa che solo così la fratellanza si dimostrerà più forte del fratricidio. Di più: la fratellanza, non la vendetta, si dimostrerà la vera risposta, la vera alternativa al fratricidio. 

Per questo quel viaggio è stato epocale: ha aperto un’epoca nuova , in cui l’illusione apocalittica, un conflitto tra forze del Bene e forze del Male, veniva respinto nel nome del riconoscimento delle colpe altrui e proprie: e delle diversità. Noi siamo fratelli perché Dio ci ha voluti così, diversi. La diversità fonda la fratellanza, e quindi riconoscendo l’altro come parte del disegno di Dio rinuncia ad imporre la propria legge divina a tutti. 

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Il 6 marzo del 2022, un anno dopo, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie ha fatto l’esatto contrario. Non ha visto la catena di torti che si sono susseguiti in Ucraina nei secoli, né nei decenni recenti. Ha visto solo i torti, indiscutibili, patiti dalla minoranza russa. Ma anche oggi, come allora, ha taciuto sullo sterminio dei kulaki, un secolo fa. I torti di oggi invece li ha attribuiti tutti  all’Occidente. Quell’Occidente che vuole imporre una società regolata non dalla legge di Dio, ma dalla legge dell’uomo. Per esemplificare ha usato il Gay Pride, cioè la liceità di manifestare il proprio orgoglio di essere fuori dalla legge di Dio, che a suo avviso punirebbe l’omosessualità. Il racconto biblico non dice questo. Il racconto biblico dice che Dio punì Sodoma per mancata ospitalità verso lo straniero. Ma questo a Kirill non interessa. A lui interessa la legge che gli uomini hanno capito essere legge di Dio. Così ha interpretato la guerra Ucraina come una guerra tra chi vuole portare l’Ucraina nel mondo della perversione, indifferente alla legge di Dio, e che invece vuole restare in quel mondo, cioè la Russia. Ecco così la sua frase decisiva.  “Ciò che sta accadendo oggi nell’ambito delle relazioni internazionali, quindi, non ha solo un significato politico. Stiamo parlando di qualcosa di diverso e molto più importante della politica. Stiamo parlando della salvezza umana, su dove finirà l’umanità, da che parte di Dio Salvatore, che viene nel mondo come Giudice e Creatore: a destra o a sinistra… Tutto quanto indica che siamo entrati in una lotta che non ha senso un fisico, ma un significato metafisico

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Siamo dunque alla Guerra Santa, quella che in altri contesti chiamiamo “jihad”. E il patriarca l’ha giustificata, sulla base di questa negazione dell’altro, di qualsiasi altro, raccontando il fratricidio visto con un occhio solo: “ Per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass. E nel Donbass c’è il rifiuto, il rifiuto totale dei cosiddetti valori che oggi vengono proposti da chi rivendica il potere mondiale”. 

Ora starà a Francesco difendere la fratellanza, la teologia della fratellanza, e impegnarsi per riportare la Chiesa ortodossa russa a una possibile conciliazione con la modernità, cioè con l’evidenza costituita nei secoli che la legge statale non può essere la propria legge divina. Non sarà un compito facile. Ma importantissimo, forse decisivo. In questo compito Francesco sarà solo? Probabilmente no. Altre voci si percepiscono nel mondo ortodosso, anche in quello russo. Ma l’impresa appare gigantesca perché decisiva. Proprio per questo bisogna capire bene che impresa è. E’ l’impresa di portare alla fratellanza chi rifiuta la laicità dello Stato e può farlo soltanto se la laicità non sarà laicismo. La modernità, lo Stato laico, non pretende di imporre la negazione di Dio. La sua legge procede nel rispetto dei diritti dell’uomo,  ma  non dimostrando indifferenza, o ostilità a Dio. La grande lezione di Francesco in definitiva è il pluralismo: siamo uguali perché siamo diversi e per vivere insieme dobbiamo riconoscere questa diversità come un bene maggiore, non come un problema. Questa enormità è possibile se riteniamo un bene maggiore accordarci su una legge umana che unisca le diverse sensibilità, non sostituendo al Dio sovrano un io sovrano. Capirlo e praticarlo aiuterà Francesco nella sua incredibile sfida. Nella quale sarebbe criminale lasciarlo solo. 

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