Meloni: non basta una donna al comando per cambiare il paese
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Meloni: non basta una donna al comando per cambiare il paese

Abbiamo una donna premier. Ma l’impressione non è quella di una importante inversione di tendenza a favore del femminismo

Meloni: non basta una donna al comando per cambiare il paese
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24 Ottobre 2022 - 12.55


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di Marialaura Baldino 

Opinioni e pareri sulla Meloni, nuova premier, ne sono stati espressi tanti, anche tramite diversi articoli. 

Chi dice che finalmente in Italia abbiamo per la prima volta una donna a capo del governo, e solo questo basterebbe a farci fare quel balzo in avanti verso la modernizzazione, saltando a piè pari quel sessismo secolare a cui il nostro paese è così profondamente legato. Chi invece scrive che ciò non basti per superare il gap di genere. Altri, invece, rimpiangono che a compiere l’impresa sia stata una donna di destra e non di sinistra, che da anni sbandiera l’uguaglianza di genere.

I risultati elettorali, che hanno visto la schiacciante vittoria della Meloni, arrivano in giorni durante i quali vari paesi del mondo stanno affrontando accadimenti che ci lasciano con il fiato sospeso. 

Masha Amini muore il 13 settembre e il 25 – all’apertura dei seggi in Italia – arriva la notizia della morte di Hadis Najafi, simbolo della rivolta per la morte della Amini contro il presidente iraniano Ebrahim Raisi. Il 15 del mese scorso, in piena campagna elettorale, il governo ungherese, largamente sostenuto dalla Sorella d’Italia, ha emanato un decreto secondo il quale le donne che decidono di abortire saranno obbligate a sottoporsi ad ecografia per ascoltare il battito cardiaco del feto. Un’ulteriore stretta alle restrizioni imposte sull’interruzione di gravidanza nel paese. 

Senza tralasciare gli Stati Uniti dove, in Arizona, sempre lo scorso mese, è rientrata in vigore una legge antiaborto che risale al 1864. 

Avremo quindi una donna premier, ma l’impressione non è quella di una importante inversione di tendenza a favore del femminismo. E i motivi potrebbero essere i seguenti. 

I discorsi della Meloni sono stati, nell’insieme, un tripudio di esaltazione dei valori patri, quali maternità, femminilità e cristianità, che vanno preservati e protetti in nome di un ordine naturale delle cose. E il femminismo non rientra tra questi.

Basti pensare a come intende la dimensione politica: lei urla, sbraita nelle piazze, sostiene che è tutta questione di buona volontà e di merito individuale, che non ci sono ostacoli da rimuovere, ma solo traguardi da conquistare. 

Per certi aspetti lei rappresenta un paradosso politico tutto all’italiana. Una donna capo del governo va bene, ma solo se non pronuncia la Fword e tiene discorsi da maschio etero bianco conditi con un velato sentore di ultranazionalismo e quieto razzismo. Perché diciamocelo, se c’è qualcosa a cui il nostro paese è fortemente legato è quel patriarcalismo radicato che difficilmente riusciremo a scrollarci di dosso. E la Meloni, nonostante sia in una condizione di parità, ne è diventata la santa patrona. 

Anzi, come ha dichiarato Francesca Izzo, ex parlamentare Pd, politologa tra le fondatrici italiane del collettivo femminista “Se non ora quando?” su Avvenire.it, “Giorgia Meloni non si vergogna di essere donna, è orgogliosa di aver rotto il soffitto di cristallo affermandosi per via propria, non con meccanismi di cooptazione o vie preferenziali. Ma, in tutto ciò, è assente l’elemento cardine del femminismo: quello di legarsi ad altre donne e fare del proprio successo un successo collettivo e condiviso e portare avanti una serie di politiche specifiche».

Avremo una donna premier, ma lo scenario parlamentare che si prospetta non è di certo egualitario. Dopo anni di graduale aumento della presenza femminile, le senatrici e le deputate elette da poco rappresentano solo un quarto dell’emiciclo. Non ci si meraviglia del perché sia stato privilegiato un elettorato prevalentemente composto da uomini se la stessa eletta è la prima a non mettere in discussione l’assetto maschile del potere. È facile dedurre che non basta una premier donna per abbattere la tradizionale figura dell’uomo al comando. 

Ma, sebbene alla Meloni potrebbe non piacere, qualcuno dovrebbe riuscire a spiegarle che è stato proprio grazie alle battaglie movimenti femministi, che dilagavano nelle strade degli anni ’70, che lei è riuscita ad arrivare dov’è. Che gradisca o no, come ha sempre riportato la Izzo, «[…] in qualche modo è lei stessa figlia del femminismo, figlia di un mondo che ha reso possibile un percorso come il suo, in nome della libertà, dell’autonomia e della capacità femminile di raggiungere qualsiasi traguardo».

Aimè, l’opposizione non è stata da meno. Le candidate del centro sinistra non solo non sono riuscite a valorizzare le competenze e le conquiste ottenute dalle donne in questi anni, ma nemmeno a evidenziare i rischi di una vittoria di una destra simile, composta da simpatizzanti del ventennio, filo-putiniani, antiabortisti e ultraconservatori cattolici che pensano e raccontano in modo nostalgico la donna, poco rispettosi del suo corpo, delle sue conquiste e del suo ruolo sociale. 

Come ha scritto la giornalista Saraceno su La Repubblica.it, le candidate del PD non sono riuscite neanche a condividere quella visione di futuro, positiva e propositiva, di “come si intende proseguire per attuare veramente la parità, nel partito e fuori, rafforzando la libertà delle donne”. 

È stata persa l’occasione di poter dialogare con tutte quelle donne che non riescono ad andare avanti nella quotidianità, che hanno difficoltà a trovare un’occupazione, o anche quelle che lottano per una parità salariale e maggiore sicurezza sia lavorativa che sociale. 

Uno sbaglio che, come continua la Saracini, ha confermato “la loro storica postura di militanti devote, che in nome della fedeltà al partito accettano, pur lamentandosi sui social, di rimanere in seconda fila, aspettando che il leader (maschio) di turno scelga qualcuna tra loro, mettendole in competizione”. Atteggiamento che lascia pensare al fatto che “anche nel PD, non basta una leader donna per cambiare”. 

E mentre continuiamo a speculare su una possibile rottura della maggioranza (colpevoli gli appunti di Berlusconi!), il grido delle rivolte in Iran ha raggiunto anche l’Italia, con sit-in tenutisi di fronte al consolato persiano a Roma e manifestazioni organizzate per i prossimi giorni, non solo nella capitale, ma anche a Napoli, Pescara e Milano. Manifestazioni che vanno ad aggiungersi al lungo elenco delle rimostranze di piazza a difesa della legge 194, che hanno riservato alla Boldrini un’accoglienza poco piacevole. 

Insomma, avremo dunque una donna premier, ma in Italia, secondo l’indagine Istat del 2021, 4 donne su sette non lavorano, il gender pay gap è al 43,7% e i casi di femminicidio dall’inizio di questo anno continuano ad aumentare. Saremo quindi anche vicini ad assistere ad una nomina che mai avremo pensato possibile, ma il femminismo, la lotta per l’uguaglianza di genere e per le libertà personali non sono mai sembrate così lontane. 

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