Parole per la pace ricordando il 'mi fa male il mondo' di Giorgio Gaber
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Parole per la pace ricordando il 'mi fa male il mondo' di Giorgio Gaber

Proprio per la pochezza dei governanti sarebbe necessario e doveroso tornare a riempire le piazze di tutto il mondo e manifestare per creare un movimento globalizzato per i diritti, per la giustizia e per la pace contro ogni discriminazione

Parole per la pace ricordando il 'mi fa male il mondo' di Giorgio Gaber
Manifestazione per la pace
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Michele Cecere Modifica articolo

8 Novembre 2022 - 10.26


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Sono stato a Roma alla grande manifestazione per la pace di sabato 5 novembre, dico grande perché mettere insieme 100/150.000 forse 200.000 persone non è facile di questi tempi. Ma siamo a distanze siderali rispetto all’ultima grande manifestazione per la Pace che avevo vissuto a Roma una decina di anni fa quando eravamo almeno mezzo milione. Ed è siderale anche la distanza da tante altre manifestazioni per la pace, di quando in tutto il mondo ci si riuniva in piazza ed erano migliaia le piazze del mondo mobilitate e diversi milioni a incontrarsi per manifestare, perché c’era un movimento mondiale per la pace.

E mi torna in mente Giorgio Gaber, che con Sandro Luporini nel 1995 scriveva, al termine del monologo “Mi fa male il mondo”: 

“…La cosa che mi fa più male, é vedere le nostre facce, con dentro le ferite, di tutte le battaglie che non abbiamo fatto. E mi fa ancora più male vedere le facce dei nostri figli, con la stanchezza anticipata di ciò che non troveranno. Sì, abbiamo lasciato in eredità forse un normale benessere, ma non abbiamo potuto lasciare, quello che abbiamo dimenticato di combattere e quello che abbiamo dimenticato di sognare. Bisogna assolutamente trovare il coraggio di abbandonare i nostri miseri egoismi e cercare un nuovo slancio collettivo, magari scaturito proprio dalle cose che ci fanno male, dai disagi quotidiani, dalle insofferenze comuni, dal nostro rifiuto. Perché un uomo solo, che grida il suo no, é un pazzo, milioni di uomini che gridano lo stesso no, avrebbero la possibilità di cambiare veramente il mondo.”

Mi spaventa soprattutto la distanza siderale tra le persone che governano il pianeta e i problemi reali. E proprio per la pochezza dei governanti a livello planetario sarebbe necessario e doveroso tornare a riempire le piazze di tutto il mondo e manifestare per creare un movimento globalizzato per i diritti, per la giustizia e per la pace contro ogni discriminazione e violenza. Ma la distanza appare enorme anche fra i vari leader dei nostri partiti,  fra questi uomini politici che  continuo a definire nani perché incapaci di alzare lo sguardo e vedere oltre il proprio naso, di andare oltre il proprio orticello,  nani politici intenti semplicemente ad insultarsi e a mettere bandierine, incapaci di andare oltre le loro infinite campagne elettorali, perché vivono solo di questo, di slogan e dichiarazioni da sparare sui social, giocano a dire che “io sono per la Pace più di te”,  nani che in qualche modo continuano a favorire la guerra, nani che non si rendono conto che alla fine non sarà una risata a seppellirci e nemmeno le bombe nucleari, ma le grandi catastrofi provocate dal cambiamento climatico,  quello che poco o nulla preoccupa i suddetti nani, ad assestarci la botta finale. 

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Sabato 5 novembre abbiamo visto una piazza, quella di Milano, intenta a benedire l’imminente ennesimo invio di aiuti militari all’Ucraina e, al contempo, a denigrare l’altra piazza tacciandola di codardia. In realtà chi, come me, era a Roma ha potuto vedere l’eterogeneità dei partecipanti, impegnati contro tutte le guerre e non solo quella che ci tocca più da vicino: dalla Sinistra anticapitalista che chiede lo scioglimento della NATO ai cattolici della comunità di Sant’Egidio, dai grillini di Conte ai militanti dubbiosi di quel PD che pure ha sempre votato per l’invio delle armi agli ucraini. E proprio del dubbio e del pericolo delle false certezze ha parlato Don Luigi Ciotti dal palco di piazza San Giovanni a Roma, affermando che “alleate della pace sono le coscienze inquiete, che scelgono come compagni i dubbi e non le certezze. Sono preoccupato di quanti sento che sono certi e invece auguro a me e a voi di essere sempre accompagnati dai dubbi, quei dubbi che sono porte aperte al confronto, al dialogo e alla ricerca comune di un bene superiore. Diffidiamo delle coscienze sedute sulle loro certezze, nell’incoscienza dei propri limiti, diffidiamo di quelli che nei salotti televisivi giudicano  tutti gli altri e non fanno nulla per la pace…”.

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Ecco, si può dire che il 5 novembre a Milano c’erano quelli certi che solo con le armi agli ucraini si può indurre Putin alla resa mentre a Roma si dubitava fortemente che le armi possano portare alla pace e che probabilmente solo una forte azione diplomatica può indurre i governi in guerra  al dialogo. Rimane il dubbio su come potrà, una classe politica dedita a usare le parole come pietre, convincere i belligeranti al dialogo.

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