Il naufragio di Crotone, papa Francesco e il 'cristianesimo' di Matteo Piantedosi
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Il naufragio di Crotone, papa Francesco e il 'cristianesimo' di Matteo Piantedosi

Papa Francesco pregava per i migranti morti mentre il ministro dell'Interno li rimproverava per essere partiti. Il tutto in un contesto nel quale l'indifferenza per chi fugge dalle guerre è sempre più forte

Il naufragio di Crotone, papa Francesco e il 'cristianesimo' di Matteo Piantedosi
Matteo Piantedosi
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

27 Febbraio 2023 - 12.58


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Già all’Angelus di ieri, prima di ringraziare quanti hanno prestato soccorso, papa Francesco aveva detto: «Stamattina ho saputo con dolore del naufragio avvenuto sulla costa calabrese presso Crotone. Già sono stati recuperati 40 morti tra cui molti bambini. Prego per ognuno di loro, per i dispersi e per gli altri migranti sopravvissuti». 

Ovviamente la politica, anche di chi si dice cristiano, non deve convenire con il papa, ma stride enormemente quella preghiera “per ognuno di loro” con quanto detto dal ministro dell’interno italiano Matteo Piantedosi: “Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo chiedere io al luogo in cui vivo, ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso”.

Non so dire se sia proprio una citazione di John Fitzgerald Kennedy , come molto sostengono, ma certo è un attacco alla pietas umana che è al fondo del sentimento cristiano che ha ispirato le parole di Francesco.  Viene così anche da chiedersi se ci sia una logica nel Pantheon della destra italiana. Infatti il ministro Sangiuliano ha detto che il primo intellettuale di destra è stato Dante. Ma Dante non scelse come sua guida Virgilio, l’autore dell’Eneide? Ed Enea chi era se  non un fuggiasco? Non fece, come dice il titolare dell’Interno. Fuggì con il padre Anchise sulle spalle, senza avvertire quel dovere di fermarsi a fare ancora qualcosa per Troja in fiamme. Era dunque un vile, oltre che un clandestino, visto che fuggì senza visti. 

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Ma è troppo facile entrare nel caotico Pantheon della destra italiana, troppo facile commentare la “tesi” di Pantedosi parlando di fuga dai lager, di deportazioni di massa, di territori desertificati, di pulizie etniche feroci, prolungate e taciute: ognuno ha le sue idee, anche se in Pantheon caotici. Ma quando si arriva a condannare i morti bisogna riflettere. Cosa ci accade? Come si spiega davanti ad un evento simile, il naufragio, che il capo di un partito di opposizione, Giuseppe Conte, inviti a mettere da parte gli slogan e impegnarsi perché l’Europa gestisca davvero i “flussi migratori”?  Con Frontex? Sarei interessato a sapere chi ha risposto a Piantedosi: io ho letto solo qualche voce cattolica, come quella di padre Giulio Albanese, di gruppi impegnati nel lavoro con i profughi. 

Ecco allora che ricordarsi della morte del piccolo Alan, o Aylan, del suo emergere morto dalle acque del Mediterraneo il 2 settembre 2015, fa ricordare Cher quella tragedia generò un maremoto nelle coscienze. Era più lontano da noi Alan, o Aylan, e nessuno lo criticò, dicendo che lui e suo padre avrebbero dovuto pensare a cosa fare per il paese in cui vivevano. Quanto è successo dentro di noi ieri è stato paragonabile a quanto accadde nel 2015? Non mi sembra. E perché la tragedia di ieri ci ha riguardato tanto di meno di quella? Che bambini, che uomini, che donne, che madri erano quelli di ieri? 

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Le cause di questa trasformazione inquietante ed evidente sono tante, la guerra è una di queste. Chiederei agli amici del movimento pacifista di riflettere. La guerra ci ha mosso su tante strade, ma la nobiltà dell’impegno pacifista non ha fatto i conti con la sua oggettiva asimmetria. Si può essere pacifisti nei Paesi europei che sostengono Kiev, ma si può essere pacifisti a Mosca, o in Bielorussia? Questa oggettiva asimmetria ha legittimato, in alcuni settori, sentimenti di indifferenza e individualismo che si sono coperti dietro la nobiltà del pacifismo. “Ci conviene svenarci per Kiev?” Personalmente escludo che questo fosse nelle intenzioni dei pacifisti, di tutti i tipi, ma a me sembra un fatto. La pace infatti si è separata dalla giustizia, e i sentimenti di calcolo hanno potuto penetrare in tanti campi. 

Ora sarebbe il caso di fermarci un momento, al di là di appartenenze e schieramenti: quanto è accaduto a noi ieri è davvero preoccupante, ancor più della tragedia delle vittime. Non voglio riprendere tutto il dibattito sugli scafisti, le Ong, il presunto Pull Factor ed altre cose così. Ma la marginalità del fatto rispetto alle nostre coscienze, questo è il punto al quale dovremmo pensare. Perché nel 2015 non è stato così?  Dove stiamo andando? 

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