di Antonio Salvati
Anche il crimine più grande non può essere punito con la morte. Il fondamento della legge, di ogni legge è sempre la difesa della vita. Gli stati non possono aumentare, con un’altra morte, le violazioni della vita che vogliono esemplarmente punire. E’ il principio semplice che ha caratterizzato lo svolgimento del tredicesimo Congresso internazionale dei ministri della Giustizia Non c’è giustizia senza vita, tenutosi a Roma dal 1 al 2 marzo 2023, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio da oltre vent’anni impegnata per l’abolizione della pena di morte nel mondo. Da diversi anni la Comunità di Sant’Egidio sviluppa e promuove nuove strategie e visioni comuni, organizzando annualmente Conferenze di ministri della Giustizia, giuristi, membri delle Corti Supreme, provenienti sia da Paesi che hanno abolito la pena capitale sia da Paesi mantenitori, con un’attenzione particolare al continente africano, sostenendo i percorsi legislativi, sociali, parlamentari, di supporto alle opinioni pubbliche fino alla riduzione o alla fine delle esecuzioni, di fatto o di legge, e all’abolizione.
Hanno partecipato ministri della Giustizia e rappresentanti di oltre 20 Paesi abolizionisti de iure o de facto (come Burkina Faso, Ciad, Zambia, Guinea Conakry, Repubblica Centroafricana, Liberia, Zimbabwe, Sri Lanka, Etiopia, Uganda), insieme a Paesi mantenitori (come Vietnam, Indonesia, Malesia). All’inizio dei lavori, svoltisi presso l’Aula dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati, Mario Giro, già viceministro degli Esteri e membro di Sant’Egidio, ha sostenuto: «Le istituzioni non chiedano altro sangue», cancellando la pena di morte «non si rinuncia a punire, ma si rinuncia all’irreversibilità».
Mario Marazziti, coordinatore della campagna per l’abolizione della pena di morte di Sant’Egidio, ha invitato a riflettere sull’incompatibilità di pena di morte e democrazia. Perché la democrazia si fonda «sulla possibilità di errore, sulla capacità di cambiare tornare a governare dopo una sconfitta, magari dopo politiche sbagliate. Politiche sbagliate possono causare anche molte più vittime della violenza individuale. L’irreversibilità dell’errore è incompatibile con la democrazia, perché contiene il rischio dell’annientamento e dell’azzeramento dell’altro». Considerando anche che di fronte a «crimini terribili, è sempre presente la tentazione che parte dell’opinione pubblica chieda la pena più esemplare e cattiva possibile». Pertanto, «c’è bisogno di leadership coraggiose che possano iniziare il percorso per arrivare all’abolizione della pena di morte in ogni Paese del mondo».
Negli ultimi anni numerosi paesi hanno abolito la pena capitale. Nel 2022 lo Zambia, la Repubblica Centrafricana e la Guinea Equatoriale. Nel 1976 erano solo 16 gli Stati del mondo che avevano abolito la pena di morte. Oggi non la praticano più 144, abolita per legge o di fatto. In questo millennio, dal 2000, 45 stati hanno abolito la pena di morte, due ogni anno. Nel 2021 le esecuzioni praticate note sono state solo in 16 paesi del mondo. Negli ultimi 5 anni le esecuzioni registrate sono diminuite tre volte, da più di 1500 a meno di 500 o poco più di 500, 576 quelle conosciute nel 2021.Con un aumento, 637 esecuzioni registrate, fino al 30 settembre del 2022. Nel 2022 sono stati finora 17 i Paesi del mondo che l’hanno usata. Si tratta di un vero e proprio ribaltamento della storia in meno di 50 anni. Nessuna generazione lo ha sperimentato prima.
La lotta alla pena di morte è diventato sempre più un elemento importante nell’ambito delle relazioni internazionali, come hanno ben compreso molti Paesi africani che comprendono l’importanza della collaborazione. Abdellatif Ouahbi, ministro di Giustizia del Marocco, abolizionista de facto, ha detto: «Aiutateci ad abolire la pena di morte. A rendere reale proprio la frase “non c’è giustizia senza vita”». E ancora: «Il dibattito tra sostenitori e contrari alla pena di morte continua ad emergere, il nostro obiettivo penale è trovare il momento giusto per un accordo sociale su questo punto».
Ronald Ozzy Lamola, ministro della Giustizia della Repubblica del Sud Africa, ha sottolineato come «i diritti umani non vengono tutelati dalla violenza, ma dalla difesa della vita umana». E il lavoro continua. «Sappiamo che più grave è il reato, maggiore è l’attenzione da porre per tutelare chi ha commesso quel reato, perché al centro della giustizia penale non c’è la vendetta – ha aggiunto –, ma la giustizia di tutti e ciascuno».
Tra i relatori che sono intervenuti al Congresso c’era Mulambo Haimbe, ministro della Giustizia della Repubblica dello Zambia che ha iniziato il suo intervento ricordando ai presenti come il 23 dicembre 2022 nel suo Paese, la pena di morte sia stata abolita con degli emendamenti alle leggi penali. Con l’abolizione sono stati salvati dal braccio della morte – grazie all’amnistia concessa dal presidente – circa 390 persone. «Siamo orgogliosi del nostro cammino, giunto dopo circa 25 anni di moratoria e vogliamo essere un faro per l’intero continente», ha concluso Haimbe.
Parlare della fine della pena di morte in tempo di guerra sembra un paradosso. In realtà, c’è un collegamento: come la guerra non è la soluzione ad ogni controversia, la pena di morte non è una riparazione al crimine. Per questo dal Congresso è scaturito un grande messaggio per il nostro mondo in un tempo difficile, segnato dalla guerra e da nuove divisioni nel mondo. Un grande messaggio da Roma, la città dove, a distanza di decenni dalla nascita delle Nazioni Unite, è stato approvato lo Statuto della Corte Penale Internazionale per i crimini contro l’umanità. E non contempla la pena capitale nemmeno per il crimine di genocidio. Un messaggio dall’Italia, dove nel 1786 il Granducato di Toscana abolì per la prima volta in Occidente la pena capitale, insieme alla tortura. Ma c’è ancora molto lavoro da fare. Come quello di rafforzare – lo ha rimarcato il viceministro della Giustizia italiano, Francesco Paolo Sisto – l’impegno dell’Italia in tutte le sedi internazionali per l’abolizione della pena di morte. Un impegno strettamente legato alla consapevolezza che si tratta di una questione di diritti umani, non siamo davanti ad un deterrente per il crimine, ma un qualcosa di inumano, che rende tra l’altro irreversibili gli errori giudiziari.