Migranti, quando si pensa di risolvere il problema partendo dalle conseguenze e non dalle cause
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Migranti, quando si pensa di risolvere il problema partendo dalle conseguenze e non dalle cause

La scelta di inasprire le pene ai danni degli scafisti sa tanto di regalo biblico all’elettorato della Lega e a quello più “cattivista” di Fratelli d'Italia

Migranti, quando si pensa di risolvere il problema partendo dalle conseguenze e non dalle cause
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Seba Pezzani Modifica articolo

15 Marzo 2023 - 12.24


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Qualche anno fa, uno dei grandi maestri del thriller americano mi confessò che non avrebbe avuto alcuna remora morale nel mettere a morte una persona che si fosse macchiata di un crimine orribile, ma che le statistiche relative all’impatto deterrente della pena di morte sui reati punibili con la pena capitale negli Usa erano sconfortanti. Insomma, non si registrava minimamente un calo di tali reati negli stati in cui la pena di morte era in vigore.

Non è questo il tema che intendo affrontare, per quanto il “caso Cospito” abbia notevolmente infiammato il dibattito pubblico nel nostro paese sulla liceità di un trattamento carcerario che l’Europa ci contesta. Però, alla luce del recente decreto varato dal governo per contenere il fenomeno dell’immigrazione clandestina, si ha davvero la sensazione che, per l’ennesima volta, si stia cercando di risolvere il problema partendo dalle conseguenze e non dalle cause.

La scelta di inasprire le pene ai danni degli scafisti sa tanto di regalo biblico all’elettorato della Lega e a quello più “cattivista” – termine orrendo, mi rendo conto, ma adeguato a quella frangia che da sempre abusa di espressioni come “buonista”, “politicamente corretto”, “cancel culture” e via discorrendo – di Fratelli d’Italia. Ecco il legame comune con l’evangelismo duro ed estremo che negli Usa fa suo il dictat “occhio per occhio” ma non il suggerimento più recente e, in teoria, cristianamente più elevato del “porgi l’altra guancia”: se lo spauracchio della pena di morte non dissuade le persone dal commettere certe nefandezze, mantenerla in vigore serve solo a dare un contentino a chi pensa che il trasgressore meriti comunque di patire, scordandosi che il nostro ordinamento non prevede una carcerazione punitiva bensì educativa.

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Peraltro, gli stessi scafisti sono quasi bassa manovalanza di un sistema malavitoso ben più ampio, radicato in profondità nelle trame di certi stati. L’idea, per esempio, di stringere accordi con il governo libico per avere maggiori rassicurazioni sull’efficacia del controllo delle partenze dei barconi si è già ampiamente mostrata fallimentare e ricorda in modo preoccupante la “nostra” trattativa stato-mafia.

Ma torniamo al tema vero, quello dell’immigrazione da contenere. La nostra presidente del consiglio e il nostro ministro delle infrastrutture si sono stizziti pesantemente, sostenendo che sia disgustoso pensare che la guardia costiera lasci morire chi affronta i viaggi della disperazione nel Mediterraneo. Nessuno però può negare che le direttive che stanno a monte dei disastri a cui stiamo assistendo e che proprio loro due hanno fortemente voluto non aiutano minimamente a prevenirli o a mitigarli.

Ha ancora senso fare una distinzione tra chi scappa da una guerra e chi, invece, decide di lasciare il proprio paese perché lì non gli viene riconosciuto il diritto a un futuro umano? Ha senso parlare di migranti economici, creando un’ulteriore spaccatura pericolosa in seno a un sottobosco di disperati? Chiunque nel proprio paese sappia di non poter assicurare a se stesso e ai suoi cari un avvenire degno di tal nome dovrebbe avere il diritto di cercarlo altrove. È la storia stessa del mondo a dircelo.

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Eppure, l’Italia, come quasi tutti i paesi più ricchi del pianeta, ha un passato da colonialista e ha abbandonato le colonie a se stesse, spesso nelle mani di élite corrotte e invise ai propri connazionali. Il sottosviluppo di quegli stessi paesi è una conseguenza diretta del loro sfruttamento coloniale e postcoloniale. Dato che nessuno dei paesi più abbienti intende minimamente modificare il proprio stile di vita, fingere di poter risolvere il problema stipulando accordi con questo o quel paese è un atteggiamento da struzzi. Guarda caso, proprio oggi, il presidente Mattarella dal Kenya ha dichiarato che è impensabile ricorrere ad accordi bilaterali per risolvere un problema di portata mondiale.

Molti di quelli che strepitano contro gli immigrati, soprattutto se di colore, spesso idolatrano stelle dello sport o del mondo dello spettacolo che hanno la pelle nera. È una distorsione di cui è bene non scordarsi mai perché, come ha detto un celebre afroamericano in una recente intervista, «Da quando sono ricco e famoso, ho smesso di essere nero». Molte di quelle stesse persone si abbandonano a commenti da bar che farebbero sorridere se non sottintendessero una sorta di latente disumanità. Frasi assai comuni come, «Hanno il telefonino e si fanno i selfie e poi vengono da noi a chiedere l’elemosina», dovrebbero non avere diritto di cittadinanza. Forse basterebbe ricordare che, in fondo, il telefonino per l’uomo di oggi è come la ruota per l’uomo dell’antichità.

Non si può alzare bandiera bianca. Però, forse, sarebbe meno ipocrita da parte del nostro governo e dell’Europa intera riconoscere ciò che eticamente è inammissibile, ovvero che la condizione dei poveracci che cercano di approdare nel nostro continente semplicemente non ci interessa, che il colonialismo appartiene al passato e che chi oggi è in difficolta deve strigarsela per contro proprio. Senza tirare in ballo vetusti discorsi sul passato, sappiamo tutti che una parte cospicua del pianeta soffre e non riesce a sollevarsi da una condizione di perenne sottosviluppo proprio per consentire al mondo occidentale di alimentare il proprio stile di vita.

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Solo se venisse fatto un tentativo serio da parte della comunità internazionale di riequilibrare i privilegi e le sperequazioni tra gli stati e di mettere in discussione la posizione di preminenza assoluta dell’Occidente e delle grandi potenze, si potrebbe addivenire a risultati concreti. Non credo che tale intenzione sia sul tavolo di nessun consesso internazionale. Dunque, soltanto concedendo il diritto di asilo sostanzialmente a tutti coloro che lo chiedono ci si metterebbe al riparo dalle scene tragiche a cui stiamo assistendo con frequenza crescente.

L’Italia è un paese la cui popolazione è a crescita sotto zero e, dunque, chissà che anche chi invoca una chiusura assoluta delle frontiere – naturalmente solo per i brutti e poveri – prima o poi non scenda a più miti consigli, anche solo per motivi di bieco interesse. Per lo meno, si smetterebbe di piangere lacrime di coccodrillo al diffondersi della notizia dell’ennesima tragedia del mare.

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