In ricordo di Silvio Di Francia, combattente gentile e amministratore capace
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In ricordo di Silvio Di Francia, combattente gentile e amministratore capace

Nei giorni scorsi è mancato dopo una lunga malattia Silvio Di Francia, assessore alla cultura del comune di Roma e poi in quello di Latina. Un ricordo

In ricordo di Silvio Di Francia, combattente gentile e amministratore capace
Silvio Di Francia
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21 Marzo 2023 - 10.59


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di Paolo Masini

Il segno del passaggio di un uomo su questa terra è dato da ciò che lascia. Nei ricordi, nelle scelte, nella rettitudine, nell’esempio.

Ho passato molto tempo in queste ore a leggere le frasi di persone, amici, conoscenti, colleghi di partito, compagni di judo.

Tante emozioni, mille riconoscimenti tutti legati da un filo conduttore.

Quello di un combattente gentile, di una persona leale, di un sognatore meraviglioso e ostinato.

Silvio è stato tante cose insieme, un uomo che balzava agli occhi per la sua “naturale eleganza popolare”, come ha scritto Antonio Rosati con il quale ha condiviso anni importanti per la gestione della cosa pubblica in questa città.

Silvio ed io ci conoscemmo sul serio durante un lungo, appassionato, bellissimo incontro del suo mandato come Presidente di Zetema.

Non ricordo nemmeno più il motivo di quell’incontro, forse per qualche progetto che mi girava per la testa, chissà. Sta di fatto che parlammo di tutt’altro. Di noi, delle nostre scelte, del nostro impegno (venivamo da due esperienze molto diverse) ma fondamentalmente parlammo di quanto avremmo potuto insieme cambiare le cose per la nostra città. Le cose e una politica che non sempre ci piaceva. Rimase colpito di come fossi diventato consigliere comunale, con un buon numero di preferenze, senza per questo appartenere a una delle correnti che ingessavano la politica romana.   Ricordo ancora la sua frase quando mi accompagnò alla porta “Ma te dove stavi finora? “. Credo fosse un modo per dire che da quel momento non avremmo dovuto più perderci di vista politicamente e umanamente.

Un uomo per bene, leale, direi d’altri tempi. Serio ma mai serioso, aveva la capacità di affrontare con una calma serafica, probabilmente dovuta alla disciplina sportiva che più amava, figlio di una famiglia che a Roma ha rappresentato e rappresenta molto, sia dal punto di vista agonistico che da quello sociale.

Un amministratore capace e coraggioso, di lui mi ricordo la “tigna” con la quale volle mettere in un bando, per la prima volta in città, la possibilità di partecipare per i giovani attraverso un gruppo informale che poi si sarebbe costituito formalmente solo una volta vinto il bando.

Una trovata geniale che permise a tanti ragazzi di diventare operatori culturali in maniera semplice e diretta.

Ho voluto scegliere questo, tra mille esempi, perché più di altri, a mio avviso, racconta Silvio.

Dopo la fine della sua esperienza da assessore ci sentivamo spesso, pure per confrontarci sul come affrontare, in ambito culturale, la gestione Alemanno. Dai teatri di cintura alle mille altre esperienze che rischiavano di morire o di perdere la forza con la quale erano state pensate.

Anche nella vita di partito le nostre strade si intrecciavano, scelte figlie di un comune vedere e un comune sentire rispetto a un partito che pensavamo con le porte spalancate.

Anche durante la sua esperienza di Latina, a fianco di Damiano Coletta, ci capitava di scambiarci pareri, progetti, buone pratiche amministrative.

Dell’arrivo di quella robaccia che ce lo ha portato via mi disse lui stesso. Mi aveva chiamato (e la cosa mi fece enormemente piacere) per farmi i complimenti per una mia lettera che pubblicò il Foglio, dove spiegavo il motivo per il quale avevo deciso di  non sostenere il candidato di centro sinistra alle comunali e attuale sindaco al primo turno. Una critica al Pd, alla mancanza di coraggio e di tirare il cuore oltre l’ostacolo, alla differenza tra quello che avevamo sognato e quello che era diventato. Mi fece una bella telefonata “come spesso accade hai coraggio di dire quello che in molti di noi pensano”. Parlava in maniera strana, avevo capito che era successo qualcosa ma avevo il terrore di chiederglielo. Fu lui stesso alla fine della telefonata che mi disse “non senti che parlo male?”. Da li un fiume in piena su quello che gli stava accadendo, me lo raccontava con una serenità disarmante, la stessa serenità che traspare in quella successiva bellissima e coraggiosa intervista a Repubblica.

Lo rividi altre volte, al saluto di Sassoli e in altre rare occasioni, anche se poi gli scrivevo spesso per sapere come procedeva.

La sua ultima uscita pubblica per la campagna elettorale di Emanuela Droghei alle regionali ce lo ha mostrato in tutto il dramma della sua malattia.

Unico sollievo quello di riuscire  a ritrovare il sorriso rivedendo le sue cose sul pc, la chitarra, i canti, le sue iniziative.

Fu allora che insieme ad un gruppo di amici abbiamo cominciato a mandargli le foto sul suo mandato al comune di Roma, foto abilmente ripescate dai bravi fotografi del Campidoglio.

Gli abbiamo donato gli ultimi sorrisi rifacendogli tornare alla mente, tutto il lavoro e l’esempio che traspariva da quelle immagini. D’accordo con il Coni, avevamo organizzato  a sua insaputa per portarlo a vedere la Lazio in tribuna. Silvio, Marino Sinibaldi e io. Tutto organizzato. Compreso il parcheggio.

Il suo ultimo ricovero ci ha impedito di regalargli l’ultimo sorriso biancoceleste (silvie’ è amore vero questo qui…)

Pochi giorni prima che ci lasciasse sono andato a trovarlo, mi ha parlato con gli occhi, mi ha stretto forte la mano per dei minuti che sembravano interminabili. Credo che li ci siamo detti tutto, prima di andar via gli ho sussurrato all’orecchio “Ti vogliamo bene Silvio non lo dimenticare mai”.

Pochi giorni dopo la notizia che aspettavamo da tempo e che gli ha impedito di soffrire oltre.

Silvio è stato un esempio. In tutti i campi che la vita gli ha messo davanti. Da un tatami a un consiglio comunale, a una giunta. Ovunque fosse.

Ciao ragazzo dalla naturale eleganza popolare. Grazie per questi anni, per questi insegnamenti, per i giorni passati insieme, per quella voglia  genuina e disinteressata di cambiare il mondo (e la politica) che hai trasmesso a molti di noi.

Ti si è voluto bene. Assai.

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