Globalist ne ha scritto a più riprese. Ancor più delle guerre, il pull factor delle migrazioni è il dissesto del pianeta. Sono i disastri ambientali che determinano carestia e siccità. In proiezione futura, ma è un futuro che si fa già presente, i migranti ambientali supereranno quelli che fuggono dalle guerre.
La siccità uccide
In Africa orientale 1 persona su 5 (33,5 milioni di persone) sta rimanendo letteralmente senz’acqua pulita. Se, stando alle previsioni, l’assenza di piogge si protrarrà fino a maggio per il sesto anno di fila, si tratterà della più grave e lunga siccità degli ultimi 40 anni. È l’allarme lanciato da Oxfam – al lavoro per fronteggiare l’emergenza nell’area – in occasione della Giornata Mondiale dell’acqua, che si celebra oggi. In un contesto globale in cui ancora oggi 1 persona su 4 non ha accesso a fonti d’acqua pulita per bere o lavarsi, spesso per mancanza di infrastrutture idriche, mentre metà della popolazione mondiale – 3,6 miliardi di persone – non può contare su servizi igienico sanitari adeguati.
L’oro blu
Nelle zone più colpite dalla siccità nel sud dell’Etiopia, nel nord del Kenya e in Somalia, il prezzo dell’acqua è schizzato alle stelle, con un aumento del 400% da gennaio 2021. I primi a farne le spese sono ben 22,7 milioni di persone che già soffrivano di malnutrizione acuta, e che adesso non hanno la possibilità di acquistare nemmeno l’acqua pulita necessaria per sopravvivere.
Anche nella parte settentrionale del Kenya, il 95% delle fonti d’acqua in aree agricole e pastorali, come Marsabit e Turkana, si sono prosciugate, causando l’aumento dei prezzi.
“In questo momento in Africa orientale le persone più affamate sono tragicamente anche le più assetate – rimarca Francesco Petrelli, policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia – Il risultato è che milioni di persone hanno perso tutto, dato che quel poco che avevano era rappresentato da piccoli allevamenti e coltivazioni. Negli ultimi 2 anni la siccità ha ucciso 13 milioni di capi di bestiame e bruciato migliaia di ettari di coltivazioni. Adesso la popolazione è costretta a comprare l’acqua da fornitori privati che ne aumentano continuamente il prezzo e 1.75 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case in cerca di acqua e cibo”.
Nella regione di Bai in Somalia, su 1 milione di persone, tre quarti soffrono la fame e di queste 76.000 sono sull’orlo della carestia, mentre il prezzo dell’acqua è raddoppiato: passando da 43,90 dollari per barile di 200 litri a gennaio 2021 a 98,33 dollari a ottobre 2022. Fattore che ha obbligato tantissime famiglie a vendere il poco che aveva e a migrare.
“Al momento centinaia di migliaia di persone dipendono dalle forniture di acqua che arrivano dalle organizzazioni come Oxfam, altri sono costretti ad attingerla da pozzi non controllati o contaminati. – aggiunge Petrelli – Questo aumenta in modo esponenziale il rischio di contrarre malattie facilmente prevenibili, come colera o diarrea acuta”.
“Rischiamo la vita bevendo acqua sporca”
“A causa della siccità siamo costretti a rischiare la vita bevendo acqua sporca – racconta Khadra Omar, 26 anni, che vive a Mogadiscio – Non avevamo mai affrontato una siccità così lunga e dura. Prima in qualche modo riuscivamo a procurarci un po’ d’acqua, adesso è quasi impossibile. Stiamo letteralmente morendo di sete”.
“La crisi idrica in corso in Africa orientale è l’esempio di quanto sia urgente non solo l’aumento degli aiuti per affrontare l’emergenza, ma anche la definizione di soluzioni efficaci a lungo termine per affrontare gli effetti della crisi climatica, che in questa parte dell’Africa ha ad esempio prolungato e inasprito un fenomeno meteorologico come ‘La Nina’, portando ad una siccità di cui non si intravede la fine – conclude Petrelli – Milioni di persone di persone sono sull’orlo del baratro e dobbiamo fare tutto il possibile per salvare vite, ma al momento è stato finanziato appena il 20% del Piano di risposta delle Nazioni Unite per far fronte all’emergenza nei tre Paesi”.
La risposta di Oxfam in Africa orientale
Oxfam sta attualmente soccorrendo la popolazione nelle aree più colpite dalla siccità in Etiopia, Kenya e Somalia, distribuendo acqua potabile e aiuti in denaro per l’acquisto di beni di prima necessità; interviene inoltre con progetti a lungo termine per aumentare la capacità di resilienza delle comunità più vulnerabili ad eventi climatici sempre più estremi e imprevedibili. Con l’obiettivo di soccorrere 876.000 tra le persone più colpite entro inizio 2024.
Grazie alla campagna “Dona acqua, salva un vita”, ad esempio, Oxfam potrà soccorrere 25 mila persone allo stremo in Etiopia nelle regioni del Tigray o Amhara, dove milioni gli sfollati sono in fuga dalla siccità e da conflitti locali.
Fino al 5 aprile è possibile fare la differenza con un SMS al 45593.
Globalist è con Oxfam.
L’allarme dell’Onu
Ce n’è sempre meno – ed è colpa nostra.
L’acqua è la “linfa vitale” dell’umanità, ma il suo accesso è sempre più a rischio a causa del “consumo eccessivoe dellosviluppo eccessivo“: attività “vampiristiche”, le chiama il segretario dell’Onu Antonio Guterres presentando un rapporto sul tema a poche ore dall’apertura del primo grande incontro delle Nazioni Unite sulle risorse idriche in quasi mezzo secolo.
2 miliardi di persone al mondo non hanno accesso all’acqua potabile. Più di 3 miliardi e mezzo non sanno cosa siano servizi igienici e sanitari affidabili. “La scarsità di acqua sta diventando endemica”, si legge nel rapporto, secondo cui l’uso di acqua è aumentato a livello globale di circa l’1% ogni anno negli ultimi 40 anni e dovrebbe mantenere tassi di crescita simili fino al 2050.
La siccità avanza
Secondo il Gruppo intergovernativo di esperti Onu sul cambiamento climatico (Ipcc), l’aumento della temperatura in atto sarà accompagnato da grandi cambiamenti nel ciclo dell’acqua in tutto il Pianeta, con aree umide che diventeranno molto più umide e aree aride che saranno soggette a siccità più intense e per periodi più lunghi. In questi ultimi due anni anche zone che non conoscevano la siccità stanno affrontando nuovi problemi: si pensi (per l’Europa) alla Francia, alla Gran Bretagna e al Nord Italia. Dobbiamo anche fare i conti con una riduzione di disponibilità idrica del 19% registrata negli ultimi trent’anni rispetto al precedente periodo (Ispra 2022).
“L’uso insostenibile dell’acqua, l’inquinamento e il riscaldamento globale incontrollato stanno prosciugando la linfa vitale dell’umanità”, dice ancora Guterres nella prefazione al rapporto.
La Conferenza sull’acqua
Co-ospitata dai governi del Tagikistan e dei Paesi Bassi, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua riunirà circa 6.500 partecipanti, tra cui un centinaio di ministri e una dozzina di capi di stato e di governo da mercoledì a venerdì a New York. Richard Connor, autore principale del rapporto, ha dichiarato che l’impatto della “crisi idrica mondiale” sarà una “questione di scenari”. Alla conferenza delle Nazioni Unite, i governi e gli attori del settore pubblico e privato sono invitati a presentare proposte per un cosiddetto programma d’azione per l’acqua per invertire la tendenza e contribuire a raggiungere l’obiettivo di sviluppo, fissato nel 2015, di garantire “l’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari per tutti entro il 2030”.
L’ultima conferenza a questo alto livello sulla questione, che manca di un trattato globale o di un’apposita agenzia delle Nazioni Unite, si tenne nel 1977 a Mar del Plata, in Argentina.
“Almeno 2 miliardi di persone utilizzano una fonte di acqua potabile contaminata da feci, esponendole al rischio di contrarre colera, dissenteria, tifo e poliomielite”. Quel numero non tiene nemmeno conto dell’inquinamento da prodotti farmaceutici, chimici, pesticidi, microplastiche e nanomateriali. Per garantire l’accesso all’acqua potabile sicura per tutti entro il 2030, gli attuali livelli di investimento dovrebbero essere triplicati, afferma il rapporto.
I conti del Wwf
Acqua e clima – aggiunge il Wwf – rappresentano due crisi correlate. I problemi legati all’acqua, da un lato la siccità – con il relativo aumento degli incendi – dall’altro alluvioni e inondazioni, sono destinati a peggiorare in tutto il mondo con la crisi climatica. A rischio ci sono milioni di specie animali e vegetali, inclusa la specie umana che già vede oltre due miliardi di persone in situazione di precarietà o sofferenza idrica.
L’acqua che beviamo è solo una piccola parte di quella che consumiamo. Al consumo diretto (per lavarsi, cucinare, pulire o innaffiare le piante) che in Italia è di 236 litri al giorno a persona contro una media europea di 165 litri, va aggiunto quello indiretto, legato all’acqua necessaria per produrre i beni e i servizi che utilizziamo e il cibo che mangiamo. Ogni fase produttiva per realizzare un prodotto finito può consumare acqua. La somma di tutti questi consumi rappresenta l’impronta idrica quotidiana. In Italia consumiamo in media circa 130 miliardi di m³ all’anno – una delle impronte idriche più alte d’Europa, con una media di 6.300 litri a persona al giorno.
Consumi non più sostenibili e allarmanti, considerando che secondo il World Resources Institute nel 2040 l’Italia sarà in un serio stress idrico.
Per quanto riguarda gli usi produttivi, in Italia l’agricoltura è il settore economico più assetato, con l’85% dell’impronta idrica della produzione, comprendendo l’uso di acqua per la produzione di colture destinate all’alimentazione umana e al mangime per il bestiame (75%), e per pascolo e allevamento (10%).
Dopo la produzione alimentare, l’industria tessile è la seconda industria ad alta intensità di consumo idrico al mondo, con circa 93 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, pari al 4% di tutta l’acqua dolce estratta a livello globale. Per produrre tutti i tessili acquistati dalle famiglie europee sono necessari ogni anno circa 24.000 milioni di m³ di acqua.
L’appello del Papa
Sul tema dell’acqua è intervenuto anche Papa Francesco, lanciando un appello al termine dell’udienza generale. “In questi giorni si svolge a New York la seconda Conferenza dell’acqua dell’Organizzazione delle Nazioni Unite – ha detto il Pontefice -. Prego per il buon esito dei lavori e auspico che l’importante evento possa accelerare le iniziative in favore di quanti soffrono la scarsità di acqua, di questo bene primario. L’acqua non può essere oggetto sprechi o di abusi, o motivo di guerre, ma va preservata a beneficio nostro e delle generazioni future”.
Water grabbing
Con water grabbing, o accaparramento dell’acqua, ci si riferisce al fenomeno che vede governi o grandi industrie prendere il controllo o deviare a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole alle esigenze di comunità locali o di intere nazioni. Spiega un’analisi realizzata da Pietro Mecarozzi per il sito Linkiesta. “Sempre più Stati si appropriano di bacini acquiferi di piccole comunità locali o nazioni confinanti”. Un fenomeno che ha già dato vita a numerosi conflitti in Medio Oriente, America Latina, Africa e Asia.
Nonostante l’urgenza di regolamentare in maniera equa la gestione dell’acqua, la Convention on the protection and use of transboundary watercourses and international lakes approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni unite che sarebbe in grado di incidere su questo problema, è stata ratificata da soli 38 Paesi più l’Unione europea, ma non da Stati Uniti e Cina. Il risultato? Migrazioni forzate, privatizzazione delle fonti idriche, controllo forzato per progetti di agrobusiness di larga scala, inquinamento delle acque per scopi industriali a beneficio di pochi ma con il danneggiamento di interi ecosistemi, controllo delle fonti idriche da parte di forze militari per limitare lo sviluppo. Si tratta di solo alcuni dei fenomeni con il quale si manifestano gli effetti del water grabbing.
Le ragioni del fenomeno, che in futuro rischia di assetare sempre più persone nel mondo, risiedono nella scarsità della risorsa. Il 97,5% dell’acqua che copre la Terra, infatti, è salata e si trova principalmente negli oceani. Solo il 2,5%, dunque, è potabile e può essere utilizzata da piante, animali ed esseri umani. Tuttavia, quasi il 90% non è disponibile, perché è concentrata nelle calotte polari dell’Antartico. Solo lo 0,26% dell’acqua di questo mondo, dunque, è a disposizione per l’uomo e per gli altri organismi. Si tratta di soli 93mila chilometri cubi, pari a un cubo con meno di 50 chilometri per lato.
Gli impatti della crisi climatica sui migranti ambientali: i dati
Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), negli ultimi 15 anni i disastri naturali sono stati la causa principale della maggior parte degli sfollamenti interni. Solo nel 2021 sono stati registrati 23,7 milioni di nuovi sfollati per cause ambientali, contro i 14,3 milioni prodotti dalla guerra. Tra i Paesi più colpiti ci sono Cina, Filippine e India. Secondo la Banca mondiale, entro il 2050 i migranti ambientali potrebbero arrivare a 220 milioni di persone.