Lollobrigida, sostituzione etnica e razzismo: le responsabilità di ministri e cittadini
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Lollobrigida, sostituzione etnica e razzismo: le responsabilità di ministri e cittadini

È come una guerra. C’è un obiettivo: i migranti. Ci sono delle armi: le parole più pericolose dei proiettili, perché è vero ancora oggi che “ne uccide più la lingua che la spada»

Lollobrigida, sostituzione etnica e razzismo: le responsabilità di ministri e cittadini
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Rocco D'Ambrosio Modifica articolo

18 Aprile 2023 - 21.19


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di Rocco D’Ambrosio*

Credo che il ritmo sia settimanale, a volte giornaliero. Gli storici, un giorno, ci diranno se si tratta di un piano culturale programmato per contenuti e scadenze oppure improvvisazioni da cabaret politico, a metà strada tra il dire quello in cui si crede e il parlare alla “pancia” del Paese. Oggi il ministro Lollobrigida: “Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro. Non è quella la strada” (Ansa, 18.4.23).

Il ministro Piantedosi forse è il primo in classifica per affermazioni al limite della costituzionalità; per esempio: “L’opinione pubblica favorevole incentiva [gli sbarchi, ndr]. Si percepisce all’estero il fattore attrattivo dell’apertura di questo Paese verso l’accoglienza. Cosa che non accade, per esempio, in Grecia” (Corsera, 25.3.23); “L’unica cosa che va detta ed affermata è: non devono partire. Non ci possono essere alternative. Noi lanciamo al mondo questo messaggio: in queste condizioni non bisogna partire” (Askanews, 26.2.23). La lista continua, purtroppo.

È come una guerra. C’è un obiettivo: i migranti. Ci sono delle armi: le parole più pericolose dei proiettili, perché è vero ancora oggi che “ne uccide più la lingua che la spada» (Sir 28,18). Poi c’è la propaganda giustificativa della maggior parte dei mezzi di comunicazione: le frasi vanno comprese; oppure sono fraintese; gli sforzi del Governo sono positivi…; il Governo adotterà piani di sviluppo per i Paesi poveri… e via discorrendo. Intanto la guerra culturale razzista contro l’accoglienza, la solidarietà e il bene di tutti i singoli e gruppi sociali, continua, si rafforza, fa adepti specie tra gli adolescenti e i giovani.

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Il razzismo, come tutte le forme distruttive, nasce non nelle istituzioni, ma nella persona. Platone afferma con chiarezza che ogni persona ha in sé tre forze: razionale, emozionale e concupiscibile.  Il caos è determinato dal lasciare queste forze libere di influenzare e determinare il comportamento umano (ethos). Invece, secondo il filosofo, alla facoltà razionale si addice il comando mentre la facoltà emozionale deve essere sua fedele alleata; inoltre le prime due facoltà devono dominare la terza, cioè quella concupiscibile. Il caos nell’anima lo si può evitare solo stabilendo questo ordine, soprattutto attraverso l’attività educativa (paidèia) che tende alla vita virtuosa.

Oltre alla filosofia classica, per i cristiani, lo ricorda anche l’apostolo Giacomo: «Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!» (Gc 4, 1-3). Ogni analisi della conflittualità deve tener conto che essa è un dato che dalla persona si estende al corpo sociale. 

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Erich Fromm – nel suo famoso The anatomy of human destructiveness (1973) – ricorda come il comportamento aggressivo dell’uomo, quale si manifesta nelle guerre, nel crimine, nelle liti personali e in “tutte le modalità di comportamento distruttive e sadiche, deriva da un istinto innato, programmato filogeneticamente”, che si scarica ed esprime in diversi modi. L’aggressività, il desiderio di distruttività (verso sé, gli altri, la natura e Iddio) prima di essere nell’istituzione, è nella persona e da qui si estende all’intero corpo sociale. Per questo motivo il rimedio – l’educazione alle virtù – è lo stesso per il singolo come per l’istituzione. Sono tempi in cui, in Italia e in molte parti del mondo, al “resistere, resistere, resistere” dobbiamo affiancare l’”educare-educare-educare”. Sempre e comunque, educare se stessi e gli altri.

Altrimenti si riduce tutto a opinione, post, dichiarazioni estemporanee e deleterie. Oggi si può dire tutto, anche le più grandi castronerie, e accettarle come opinione. E, a volte, chi è al potere crede addirittura di avere il diritto di poter dire di tutto, anche ciò che nega e “straccia” la Costituzione. Infatti quando qualcuno osa contestare certe dichiarazioni, magari si sente rispondere “questa è la tua opinione, ma noi ne abbiamo un’altra”. Dunque essere razzisti è un’opinione negare l’Olocausto è un’opinione, ritenere il fascismo e il nazismo poderose macchine di formazione dell’odio è sempre un’opinione, credere nella misericordia è altrettanto un’opinione, essere omofobi e violenti è un’opinione. 

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È in atto una riduzione ad opinione dei fatti. E davanti a questo drammatico salto di qualità si levano poche e autorevoli voci contrarie. Persino gli ambienti che dovrebbero essere più forti e autentici, come la sinistra e l’ambiente cattolico, verso le forme di razzismo, da qualsiasi parte provenga, spesso sono silenti, o smarriti o, ancor peggio, persi in giochi di potere (vedi sinistra) e bigottismo di stampo clerico-fascista. 

E così cresce anche l’indulgere verso il razzismo crescente: si autorizza tutto, sui social o per strada, o in TV, in nome della libertà di espressione. Invece no. Una società compiuta deve avere il coraggio di stabilire ciò che si può dire e fare e cosa non si può dire e fare. E ribadire che alcune cose non sono questioni di opinioni ma di umanità negata. Come il razzismo.

  • Ordinario di Filosofia Politica nella Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma
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