Verità e giustizia per Giulio Regeni: il Festival dei Diritti Umani si mobilita
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Verità e giustizia per Giulio Regeni: il Festival dei Diritti Umani si mobilita

Per non dimenticare. Per rendere giustizia a un giovane italiano trucidato in Egitto in quello che si è da subito configurato come un “assassinio di stato”. 

Verità e giustizia per Giulio Regeni: il Festival dei Diritti Umani si mobilita
Verità per Giulio Regeni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Aprile 2023 - 19.14


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Per non dimenticare. Per rendere giustizia a un giovane italiano trucidato in Egitto in quello che si è da subito configurato come un “assassinio di stato”. 

Una iniziativa meritoria

“Venerdì 28 aprile ore 11 in contemporanea davanti al Consolato egiziano di Milano  (Via Timavo 17) e all’ Ambasciata egiziana a Roma (Via Salaria 267) Festival Dei Diritti Umani, Fondazione Diritti Umani con Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Associazione Lombarda dei Giornalisti, Fondazione Roberto Franceschi, Articolo 21 e Aidi- Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia promuove un sit-in per rendere pubblici i nomi degli imputati, perché non ci siano dubbi sulla loro identità e sulla notorietà del processo a loro carico.

Festival dei Diritti Umani e i diversi proponenti ricordano come il processo Regeni sia sostanzialmente congelato perché gli alti funzionari della National security egiziani Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abedal Sharif, imputati per il sequestro, le torture e l’omicidio del giovane ricercatore italiano fingono di non sapere di essere chiamati a processo e si rifiutano di eleggere un domicilio in Italia e di ricevere le notifiche.

Una vicenda assurda e inaccettabile dopo che la notizia della tragedia di Regeni ha fatto il giro del mondo.

“E’ un diritto difendersi in un regolare processo, non certo mancare di rispetto ai familiari e ai cittadini sottraendosi alla giustizia”, dichiara Danilo De Biasio Responsabile del Festival dei Diritti Umani “il prossimo Festival dei Diritti Umani che si terrà a Milano dal 3 al 6 maggio presso il Memoriale della Shoah vuole essere un momento in cui ricordare le tante ingiustizie, le tante violazioni dei diritti umani nel mondo. E la negata giustizia ai familiari di Giulio Regeni rientra in questo ambito. Aldilà delle parole e delle promesse speriamo che dal Governo italiano vengano segnali concreti e non silenzi di tomba”.

 Farsa infinita

“Ho chiesto e ricevuto rassicurazioni per forte collaborazione sui casi RegenieZaki“. Così il ministro degli Esteri Antonio Tajani in un tweet successivo all’incontro che il titolare della Farnesina ha avuto al Cairo, il 22 gennaio scorso, con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.

Rassicurazioni. Forte collaborazione. Signor ministro, ma di cosa parla? Lei sa bene, e se ha bisogno di rinfrescarsi la memoria ci sono tomi di articoli, inchieste, rapporti e, soprattutto, atti giudiziari che testimoniano il pervicace atteggiamento tenuto dalle autorità egiziane nel boicottare qualsiasi tentativo di fare piena luce, individuando mandanti ed esecutori, sul rapimento e il brutale assassinio di Giulio Regeni. A parziale scusante di Tajani c’è che le stesse parole – rassicurazioni, collaborazione – erano state utilizzate dai suoi predecessori alla Farnesina. In primis Luigi Di Maio. 

D’altro canto, prima del ministro degli Esteri era stata la presidente del Consiglio ad omaggiare il generale-carceriere d’Egitto. 

 “Ringrazio il Presidente al-Sisi per aver augurato buon lavoro al governo italiano – aveva scritto Giorgia Meloni su Twitter alla vigilia della sua partecipazione al summit Cop27 a Sherm el Sheikh –  .Abbiamo a cuore la stabilità del Mediterraneo e del Medio Oriente e siamo determinati a rafforzare la nostra cooperazione bilaterale su questioni cruciali come la sicurezza energetica, l’ambiente, i diritti umani“. La premier, quindi, non ha dimenticato nel suo messaggio di ricordare l’importanza della salvaguardia dei diritti umani, un tema a dir poco sensibile al Cairo, dove decine di migliaia di persone sono state incarcerate dalla presa del potere del generale, mentre altre sono state torturate o costrette a fuggire. È proprio questo il punto dal quale parte la raccolta firme lanciata da Transform Italia per il boicottaggio dell’evento da parte del governo di Roma. Nel testo, firmato anche dall’avvocata della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini, si legge infatti che anche i summit precedenti “sono stati solo operazioni di greenwashing che non hanno impedito la crescita delle emissioni, in questo caso siamo di fronte all’apoteosi dell’ipocrisia, una riverniciatura di verde di un regime militare che nega le più elementari libertà democratiche fondamentali e i diritti umani. Nell’Egitto di al-Sisi la repressione è sistematica e durissima. Non si può discutere di clima con chi detiene 60mila prigionieri politici rinchiusi nelle carceri mentre il blogger Alaa Abd El-Fattah ha superato i 200 giorni di sciopero della fame. L’opinione pubblica italiana ben conosce quanto accade in Egitto, dopo l’assassinio del nostro giovane connazionale Giulio Regeni e la detenzione di Patrick Zaki. Riteniamo che l’Italia non possa partecipare alla Cop27 in Egitto dato che il governo di quel Paese ha dimostrato di non avere alcuna volontà di cooperare e collaborare affinché emerga la verità sulla morte di Giulio Regeni e venga fatta giustizia”.

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Come sono andate le cose, è cronaca. Meloni ha partecipato al summit con tanto di sorrisi, strette di mano e apprezzamenti per l’operato di al-Sisi. 

E costui dovrebbe aiutarci a fare piena luce sul rapimento e la brutale uccisione di Giulio Regeni, consegnando alla giustizia italiana i suoi aguzzini e i mandanti di un assassinio di Stato? E di grazia quali “rassicurazioni” avranno avuto la presidente Meloni e il ministro Tajani?

Un articolo da incorniciare.

E’ quello di Vladimiro Zagrebelsky, già presidente della Corte costituzionale nel 2004. Nel campo del diritto, un’autorità assoluta. Scrive il professor Zagrebelsky su La Stampa: “Al rientro dalla sua visita al governo egiziano, il ministro degli Esteri Tajani si è detto rassicurato dal presidente al-Sisi sulla disponibilità a collaborare alle indagini sulle torture e sull’uccisione di Giulio Regeni nel gennaio 2016. Sono passati sette anni e la collaborazione non c’è mai stata. Ci sono invece stati sviamenti e rifiuti, fino a che la Procura generale egiziana ha dichiarato che non c’è più nulla da fare per identificare i responsabili e che il procedimento in corso in Italia è privo di basi. Le indagini in Italia si sono svolte tra enormi difficoltà, ma hanno portato comunque la Procura della Repubblica di Roma a identificare alcuni funzionari di uno dei Servizi di sicurezza egiziani, che sono stati rinviati a giudizio davanti alla Corte d’Assise. Ma il processo non ha potuto aver luogo perché non è stato possibile notificare l’atto di accusa agli imputati in Egitto, con la data e luogo dell’udienza e gli avvisi stabiliti dalla legge. Una impossibilità che deriva dall’ostruzionismo delle autorità egiziane, insuperabile da parte italiana. Ora la Corte di cassazione ha confermato che senza quelle notificazioni agli imputati non è possibile in Italia procedere al giudizio, che deve svolgersi secondo le regole del giusto processo stabilite dalla legge in uno Stato di diritto. Poiché le rassicurazioni di cui il ministro degli Esteri si è fatto portavoce non hanno alcuna credibilità, è molto probabile che quel processo, “che non s’ha da fare”, effettivamente non si faccia mai. 

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Vi sono in Italia i genitori di Giulio Regeni che fin da subito si battono perché la verità venga accertata in giudizio. Vi è anche un generale diritto alla verità, che è stato riconosciuto a livello internazionale, in casi gravi come quello di cui Regeni è stato vittima. Il governo italiano è tenuto a proteggere i propri cittadini all’estero, cosicché oggi è obbligato ad agire perché i responsabili siano identificati e puniti. L’uccisione di Regeni mentre era nelle mani dei Servizi di sicurezza egiziani e il rifiuto delle autorità egiziane di collaborare con quelle italiane sono causa di responsabilità verso l’Italia. Poiché è ora di smettere di far finta di credere alle rassicurazioni egiziane, spetta al governo italiano ricorrere alle istanze internazionali competenti: in questo caso la Corte internazionale di giustizia. Dal 2016 si sono succeduti i governi Renzi, Gentiloni, Conte I, Conte II, Draghi e ora, da poco, il governo Meloni. L’Italia con tutti i suoi governi ha ricevuto assicurazioni, seguite dalla umiliazione del rifiuto di collaborazione. Si tratta di un diritto stabilito dalle Convenzioni internazionali che legano sia l’Italia che l’Egitto. Anche il Parlamento europeo è intervenuto denunciando le prassi egiziane e sollecitando sanzioni contro i funzionari egiziani responsabili. Ma la responsabilità primaria è dell’Italia. Il conflitto è palesemente ormai tra Stati. Purtroppo, dopo la dichiarazione sopra riportata della Procura generale egiziana, il ministero degli Esteri ha dimostrato la volontà di sottrarsi al conflitto, riportando il contrasto al livello delle due magistrature. Ma ora non è più possibile farlo, continuando a perdere tempo e a illudere, forse, i genitori di Regeni e l’opinione pubblica italiana (ed anche indebolendo la credibilità internazionale dello Stato). 

Da tempo la via da imboccare è stata identificata e segnalata. Ne ho dato conto in un articolo su questo giornale del 3 gennaio 2021, due anni orsono. Ne ha indicato la necessità la Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Regeni nella unanime sua relazione finale del 1° dicembre 2021. Nello stesso senso si è espressa la Società italiana di diritto internazionale. Ora la Corte di cassazione scrive che la soluzione dello stallo cui si è giunti non è risolubile a livello giudiziario; incombe invece sul governo anche alla luce degli obblighi di assistenza e cooperazione discendenti dalle Convenzioni internazionali, come quella contro la tortura del 1984, ratificata dall’Italia nel 1988 e dall’Egitto nel 1984. Cosa ci vuole di più perché il governo accetti la realtà di un conflitto tra Stati? Con la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura gli Stati si sono impegnati ad impedire che atti di tortura siano commessi nel proprio territorio; essi si sono anche obbligati e svolgere indagini efficaci e indipendenti e darsi la più ampia assistenza giudiziaria in qualsiasi procedimento penale relativo alla tortura, comunicandosi tutti gli elementi di prova. È ormai sicura la violazione di quegli obblighi internazionali da parte dell’Egitto. Il governo italiano dovrebbe attivare subito gli strumenti previsti dalla Convenzione contro la tortura. Essa prevede che una controversia sulla sua interpretazione o applicazione, non risolvibile tramite negoziazione, sia sottoposta ad arbitrato. Se le parti non giungono ad un accordo sull’organizzazione dell’arbitrato, ciascuna di esse può sottoporre la controversia alla Corte Internazionale di Giustizia. Si tratta della Corte delle Nazioni Unite che decide le controversie internazionali. Qui non c’è soltanto da far valere la ragione italiana in un caso di omicidio e tortura di cui è stato vittima un suo cittadino. La tortura è un crimine contro l’umanità. La comunità internazionale, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, ha preso su di sé l’onere di far tutto il possibile per prevenire, far cessare e reprimere ogni fatto di tortura. Il governo italiano, membro della comunità internazionale, attivando i meccanismi della Convenzione contro la tortura, può dimostrare che essa esprime un impegno serio.  I rapporti economici e politici tra Italia ed Egitto (gas, forniture militari, contrasto al terrorismo, migranti, Libia) sono molto importanti. È questo che spiega la ritrosia del governo italiano? Recentemente, per assicurarsi le necessarie forniture di energia, l’Italia ha sottoscritto accordi con alcuni Paesi più che problematici sul piano del rispetto dei diritti fondamentali. Se l’Italia con l’Egitto si dimostra debole e rassegnata, la sicurezza dei suoi cittadini anche in quei Paesi è messa a rischio. Non dovrebbe passare l’idea che “con l’Italia si può fare”.

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Le considerazioni, allarmate e allarmanti, del professor Zagrebelsky, vivono nell’iniziativa di cui il Festival dei Diritti Umani è tra i promotori. Quell’iniziativa ricorda a tutti che i Diritti Umani non sono un optional, qualcosa che c’è o non c’è alla fine è la stessa cosa basta che si facciano affari,  ma devono essere il fulcro della politica estera dell’Italia e dell’Europa. E che verità e giustizia le si devono a Giulio e alla sua famiglia, innanzitutto, ma anche a un paese che non debba vergognarsi di sé e di chi lo governa. Vero presidente Meloni?

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