Israele-Palestina: il coraggio della verità
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Israele-Palestina: il coraggio della verità

La lotta contro la deriva autoritaria della destra estrema israeliana

Israele-Palestina: il coraggio della verità
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Aprile 2023 - 21.31


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Due lettere aperte. Da incorniciare. Divulgare. Sostenere. Perché hanno un sapore buono: quello del coraggio politico, dell’onestà intellettuale. Perché prendono posizione su un tema scottante, da sempre e ancor più oggi: Israele. Scottante per la rivoluzione democratica in atto nel paese contro un governo di estrema destra che sta cercando di smantellare i pilastri dello stato di diritto, asservendo al potere politico quello giudiziario, imponendo una concezione della democrazia come dittatura della maggioranza. Scottante perché le due lettere toccano, sia pure da approcci diversi, l’altro nervo scoperto: quello palestinese. E del sistema di apartheid determinato nei Territori occupati.

Il coraggio del prendere posizione

La prima lettera, delle due in questione, è rivolta alle autorità europee in difesa della democrazia in Israele. A redigerla sono i partecipanti all’incontro del 27 marzo al parlamento europeo. A rilanciarla nel nostro paese è JCall Italia. I destinatari sono Roberta Metsola, Presidente del Parlamento Europeo; Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea; Charles Michel, Presidente del Consiglio Europeo; Josep Borrell, Alto Rappresentante per la Politica estera e Vice presidente della Commissione Europea.

I sottoscritti sono cittadini europei, israeliani e di tutto il mondo che hanno a cuore Israele, la democrazia e lo Stato di diritto. Vi scriviamo dopo aver manifestato di fronte al Parlamento europeo e davanti al Parlamento europeo, e dopo aver manifestato
con personalità di spicco davanti alla Commissione europea, al Consiglio europeo e al Servizio europeo per l’azione esterna – poiché siamo collettivamente allarmati dalla cosiddetta “riforma giudiziaria” in Israele e dal suo potenziale impatto sulla democrazia israeliana e, di conseguenza, sulle relazioni UE-Israele. Abbiamo quindi organizzato dibattiti con
membri del Parlamento europeo e incontri con i leader dell’UE, poiché vediamo una minaccia imminente alla nostra libertà così come la conosciamo. Pochi leader dell’UE hanno accolto e fatto proprio il nostro appello. Continuiamo quindi a sollecitare l’UE a parlare pubblicamente con il governo israeliano e il suo popolo – prima dell’approvazione della legge – per esprimere la sua preoccupazione su come questa “riforma” potrebbe avere un impatto sulle relazioni UE-Israele e influire sull’economia, la ricerca e la cultura israeliane.  Abbiamo a cuore le relazioni di lunga data tra l’Unione Europea e Israele, che si basano su valori democratici condivisi, sul rispetto reciproco e su forti legami economici, culturali e scientifici sanciti dall’Accordo di associazione Israele-UE del 2000. Riteniamo che questo accordo sia importante per l’UE e vitale per Israele e che debba essere preservato e rafforzato a beneficio di entrambe le parti. Celebriamo il fatto che “… il rispetto dei diritti umani e della democrazia, […] costituiscono la base stessa dell’Accordo di associazione”. 
Siamo profondamente preoccupati che, se sarà completato come proposto, la legislazione in corso da parte del governo israeliano avrà un impatto devastante su questa relazione. Le nuove proposte di legge, approvate con una fretta senza precedenti e senza alcun tentativo di consultazione pubblica o di ampio sostegno civile e parlamentare, dovrebbero ridurre drasticamente il potere della magistratura israeliana, minarne l’indipendenza ed eliminare essenzialmente efficaci controlli e contrappesi sui governi attuali e futuri. L’indipendenza del sistema giudiziario israeliano è l’unico controllo esistente sul potere esecutivo. Israele non ha una costituzione, il suo parlamento è unicamerale, i suoi legislatori sono eletti dai rispettivi partiti, piuttosto che dai loro collegi elettorali, e la devoluzione di potere alle autorità locali è minima. Data la società multiforme di Israele, l’indipendenza giudiziaria è stata finora fondamentale per garantire una base di diritti civili e umani, proteggere le minoranze e mantenere la coesione sociale. 
Diverse proposte di legge controverse hanno già superato la prima delle tre votazioni necessarie alla Knesset israeliana, nonostante le intense proteste senza precedenti in tutto il Paese e i recenti sondaggi d’opinione che mostrano che il 75% della popolazione si oppone al processo. Secondo la stragrande maggioranza delle rispettate organizzazioni della società civile e degli acclamati studiosi ed esperti internazionali, il completamento di questo blitz legislativo significherebbe che Israele cesserà, in sostanza, di essere una democrazia. 
Minare le istituzioni democratiche israeliane avrà probabilmente un effetto devastante sulle libertà fondamentali e sui diritti umani: diritti delle minoranze arabe, diritti delle persone LGBTQ+, diritti delle donne, libertà di parola, di riunione, di stampa, di religione, ecc. Al di là dell’effetto sui cittadini israeliani, la riduzione del potere del sistema giudiziario potrebbe avere un impatto terribile sui palestinesi che vivono in Cisgiordania (sotto il dominio militare israeliano) e, in parte, a Gaza. Un Medio Oriente destabilizzato potrebbe avere un impatto sulla sicurezza energetica e sui prezzi dell’UE, disturbare la cooperazione regionale e le catene di approvvigionamento dell’UE e, soprattutto, aumentare la sofferenza umana. Potrebbe distrarre l’UE dall’affrontare sfide globali cruciali come il cambiamento climatico, l’attuale crisi economica e il sostegno all’Ucraina. 
Dall’inizio della campagna legislativa della coalizione, le proteste sono cresciute in intensità e partecipazione, attirando centinaia di migliaia di cittadini di tutto lo spettro politico. Le proteste hanno coinvolto anche funzionari pubblici di alto livello e ufficiali militari che hanno rassegnato le dimissioni o si sono rifiutati di continuare a prestare il loro servizio di riserva in caso di approvazione della legge. Le proteste hanno avuto luogo in tutto il Paese di Israele e in decine di grandi città del mondo, da Sydney a San Francisco, comprese molte città europee.
L’Europa è giustamente orgogliosa del suo modello democratico liberale, che è fonte di ispirazione per miliardi di persone in tutto il mondo. L’Unione Europea è riuscita a creare una meraviglia di cooperazione e libertà in un continente che ha subito le peggiori atrocità della tirannia. Negli ultimi anni, tuttavia, ha assistito all’erosione della democrazia anche tra i suoi Stati membri – sia l’Ungheria che la Polonia hanno subito un processo simile di indebolimento delle loro magistrature – ed è stata risoluta nel tentativo di contenere questo rischio. Solo che il processo di de-democratizzazione, che è durato anni in Ungheria e Polonia, si sta svolgendo a ritmo accelerato in Israele, e si prevede che sarà completato in due mesi scarsi. 

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L’Unione europea, in particolare, dovrebbe impegnarsi attivamente contro un ulteriore indebolimento delle democrazie occidentali. Gli effetti di un indebolimento di Israele si ripercuoterebbero alle porte dell’Europa e forse in Europa stessa.
Chiediamo ai responsabili delle decisioni dell’UE di parlare ora, prima che sia troppo tardi. Il tempo è essenziale – le votazioni finali su questo colpo di stato sistemico sono attese entro poche settimane, nel mezzo di una rapida escalation di violenza tra israeliani e palestinesi – non aspettate che la legislazione sia completa prima di farvi sentire. Fate sapere agli israeliani qual è la posta in gioco prima che sia troppo tardi per fare marcia indietro. Il mercato comune europeo è il principale partner commerciale di Israele. Horizon Europe è di gran lunga il più grande fondo di ricerca e innovazione di Israele. Se la partecipazione israeliana a questi prestigiosi programmi è a rischio, vi invitiamo a renderlo noto all’opinione pubblica israeliana prima del voto parlamentare.
Eccellenze, 
contiamo su di voi per rimanere veri amici di Israele, anche e soprattutto in questi tempi così difficili, in cui il nostro progetto comune di democrazia è sotto minaccia esistenziale. È il momento di dimostrare amicizia, leadership e sostegno alla democrazia israeliana”.
In difesa di chi ha il coraggio di dire le cose come stanno

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Da Amnesty International.
“Diffondiamo il testo integrale della lettera inviata al quotidiano “la Repubblica”, una cui sintesi è stata pubblicata il 24 aprile.

Gentile Direttore Molinari,

In seguito alla pubblicazione dell’articolo riguardo alla destituzione della Relatrice speciale Onu, la dott.ssa Francesca Albanese richiesta dall’ex Ministro Giulio Terzi, desideriamo esprimere, in quanto soggetti che sostengono il rispetto dei diritti umani, il nostro giudizio e la nostra forte preoccupazione in merito.

La dott.ssa Albanese, Relatrice Speciale per le violazioni dei diritti umani nel territorio palestinese occupato da Israele nel 1967, è stata oggetto di accuse false e fuorvianti, equivalenti a una vera e propria campagna di diffamazione ad personam, a seguito delle sue recenti dichiarazioni sulla situazione nel territorio palestinese occupato e sulle azioni di Israele che violano il diritto internazionale. È stato chiesto il suo licenziamento da parte di alcune “Ong”, l’International Legal Forum e il Solomon-Observatory on Discrimination, nonché dal ministro israeliano per gli Affari della diaspora e la lotta all’antisemitismo, Amichai Chikli.

Attaccare la Relatrice Speciale dell’Onu, esperta tecnica indipendente, il cui mandato impone di esprimersi in punto di diritto internazionale riguardo alle pratiche e politiche illecite da parte dello Stato d’Israele contro il popolo palestinese nel territorio occupato, è un atto di irresponsabilità senza precedenti per esponenti del parlamento italiano ed ex-ministri degli esteri come Terzi. La dott.sa Albanese è una giurista di professione, che vanta due decenni di impegno e competenza in materia di difesa dei diritti umani e della promozione della pace, oltre a un vasto curriculum scientifico, con pubblicazioni di livello internazionale, l’ultima delle quali con Oxford University Press. Le sue posizioni sono sempre state improntate all’imparzialità, e rappresentano una voce autorevole nel panorama internazionale.

Inoltre, è essenziale tener conto delle forze politiche che si celano dietro alle Ong che hanno chiesto il “licenziamento” della dott.sa Albanese dal suo incarico (che svolge a titolo gratuito) e a cui l’ex Ministro Terzi si è accodato con la sua richiesta di rimozione della Relatrice speciale Onu: l’International Legal Forum (ILF) e il Solomon-Observatory on Discrimination sono entrambe organizzazioni di espressione del ministero degli Affari strategici israeliano. Nonostante entrambe si presentino come centri di attività civiche e legali, promuovendo sforzi di contrasto a presunte parzialità della comunità internazionale contro Israele, dietro questa etichetta si cela la difesa di gravi violazioni del diritto internazionale da parte del Governo israeliano.

Nei suoi report infatti International Legal Forum difende l’annessione, attraverso l’uso della forza armata, di Gerusalemme e della Palestina (assolutamente proibita dal diritto internazionale e dalla Carta delle Nazioni Unite), negando  lo status di territorio occupato della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, e attaccando autorevoli organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani, quali Amnesty International e Human Rights Watch per aver denunciato crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Non solo, nelle sue campagne questa organizzazione difende  l’espulsione delle famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah e attacca alti funzionari Onu per aver ricordato che gli insediamenti coloniali di una potenza occupante in territorio occupato sono crimini di guerra ai sensi del diritto internazionale penale.

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Questi esempi dimostrano che l’Ilf, al contrario dei proclami sul proprio ruolo di promozione di giustizia e diritti, legittima colonie illegali e crimini internazionali. Per quale ragione l’ex Ministro degli Esteri Terzi, con l’attuale Ministro degli Esteri Tajani nel caso in cui desse seguito alla richiesta di Terzi, presentano come credibili le richieste di associazioni che difendono apertamente gravi violazioni del diritto internazionale e il consenso mondiale alle Nazioni Unite sullo status del territorio occupato? Come si riconciliano queste posizioni con le posizioni diplomatiche ufficiali del nostro paese, che riconosce come occupati militarmente il territorio palestinese delle Cisgiordania, Gerusalemme Est, e Gaza e con l’obbligo di non riconoscere una situazione illecita? Come è possibile che un ex 

Ministro della Repubblica proponga a un Ministro della Repubblica in carica di rendersi strumento, capovolgendo le proprie prerogative costituzionali, di una tale campagna contro una cittadina italiana incaricata dalle Nazioni Unite di relazionare su queste violazioni?

Quanto al Governo israeliano, il ministro Amichai Chikli, che ha promosso la mobilitazione contro la dott.ssa Albanese, è noto, oltre che per le sue posizioni omofobe, per aver negato apertamente il diritto dei palestinesi ad esistere come gruppo nazionale, indicando la loro cancellazione come “condizione di pace”. Secondo Chikli “questo conflitto non sarà risolto fino a quando l’identità nazionale palestinese cesserà di esistere”. Pertanto, le sue accuse nei confronti della dott.sa Albanese dovrebbero essere oggetto di un cauto e approfondito scrutinio. Invece di accodarsi a campagne contro il rispetto dei diritti umani come fa Terzi, le analisi della relatrice e di altri esperti indipendenti riguardo alle pratiche di Israele nel territorio palestinese occupato dovrebbero essere discusse dal punto di vista sostanziale e di diritto internazionale, nel merito e non secondo motivazioni politiche e interessi che producono critiche che nulla hanno a che fare con la sostanza delle analisi prodotte dei relatori speciali.

Per concludere, riteniamo che le accuse infamanti contro la Relatrice speciale Onu siano infondate, unilaterali ed in contrasto con principi fondamentali di imparzialità che, proprio in quanto tali, possono basarsi solo sul diritto internazionale, parte integrante dell’ordinamento costituzionale. È importante mantenere l’obiettività nella valutazione di gravi violazioni dei diritti umani, da chiunque commesse, soprattutto in un contesto così politicizzato come quello del territorio palestinese occupato.

Obiettività non significa rimanere neutrali di fronte a gravi illeciti internazionali, negando i diritti fondamentali delle vittime di quegli illeciti. Sostenere questo, in qualsiasi contesto geopolitico, renderebbe un pessimo servizio alle istituzioni italiane e internazionali, ed alla loro credibilità giuridica. È allarmante che le più alte cariche di politica estera dei nostri governi si facciano portavoce delle istanze anti-Onu di organizzazioni impegnate a proteggere violazioni pluridecennali del diritto internazionale. Questo atteggiamento denota oltretutto un certo analfabetismo istituzionale, visto che gli esperti e le esperte indipendenti Onu sono, per definizione, protetti da pressioni di qualsiasi governo, incluso ovviamente il governo del proprio stato”.

Chi scrive, ha avuto modo di conoscere e intervistare Francesca Albanese, apprezzandone competenza, equilibrio, coraggio e impegno. L’Italia dovrebbe farsene vanto, invece di darle addosso con un killeraggio politico-mediatico che definire vergognoso è dir poco.

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