Carlo III: il popolo, i simboli e l'anacronismo di un'incoronazione
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Carlo III: il popolo, i simboli e l'anacronismo di un'incoronazione

I simboli devono restare espressioni fondamentali delle corrispondenti esperienze di vita delle istituzioni. L’anacronismo di un’incoronazione sta proprio qui: cittadini e cittadine hanno bisogno di scegliere persone e investirle di alte responsabilità

Carlo III: il popolo, i simboli e l'anacronismo di un'incoronazione
Incoronazione di Carlo III
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Rocco D'Ambrosio Modifica articolo

8 Maggio 2023 - 19.25


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Ho sempre molte perplessità nel seguire e comprendere la vita di una monarchia. L’incoronazione di Carlo III non le ha diminuite affatto. Con tutto il rispetto per gli attori coinvolti, le immagini viste molto spesso sembravano provenire da secoli passati: un potere religioso incorona un uomo, conferendogli poteri in una monarchia costituzionale e, al tempo stesso, quell’uomo è il capo della Chiesa, i cui vescovi sono intorno a lui per incoronarlo. Molte cose, a mio modesto e personale avviso, non quadrano e le domande restano tutte li: laicità dello Stato, ruolo della Chiesa anglicana, costi della monarchia per lo Stato, rapporto tra effetto simbolico e bene della collettività, riconoscimento del movimento repubblicano (con dubbi arresti di alcuni suoi leader) e via discorrendo. Basta la grande risonanza mediatica a far scomparire le domande?

Non ci sono dubbi che ogni società si edifica, non solo con fatti, parole e strutture, ma anche con una miriade di simboli culturali, sociali, politici. Ogni persona umana, come ogni società, è alla continua ricerca di un senso nella vita e lo esprime anche con simboli. Anche la comunità politica si serve di simboli: bandiera, corona, stemma, inno o altro che sia. Senza questo utilizzo maturo dei simboli tutto diventa una parata vuota, qui come altrove. Del resto anche le comunità di fede religiosa hanno problemi molto simili.

Sono tra quelli che ringrazia il Cielo per il risultato della scelta repubblicana italiana del 2 giugno 1946. Tuttavia non è solo la monarchia che ha bisogno di rimotivare il suo supporto simbolico, anche le democrazie necessitano dello stesso. I simboli – in ogni forma di Governo – servono e aiutano a crescere solo nella misura in cui sono “cornice” di un “quadro” che è la sostanza del vivere in una comunità nazionale. Se si crede che la potenza mediatica possa trasformare automaticamente la “cornice” in “quadro” si rischia molto, in autenticità e credibilità.   

I simboli devono restare espressioni fondamentali delle corrispondenti esperienze di vita delle istituzioni. L’anacronismo di un’incoronazione sta proprio qui: i cittadini e le cittadine hanno bisogno di scegliere persone e investirle di alte responsabilità perché si sono distinte per la maturità umana, la coerenza etica e la competenza specifica. Ogni simbolo usato diventa significativo delle relazioni tra chi comanda e i cittadini e le cittadine. È in queste relazioni che si ritrova l’autenticità di un Paese e la sua capacità di crescere al passo con i tempi, dove tradizione e innovazione si vivificano a vicenda. Con un’unica finalità, non l’esaltazione di una famiglia o un leader o un partito, ma l’attenzione e l’impegno a realizzare il bene di tutte le persone e di tutti i gruppi di un Paese.

È quanto ci insegna il Vangelo. Gesù Cristo ha introdotto un nuovo stile di potere: ha testimoniato il suo continuo riferimento all’autorità del Padre, ha superato le tentazioni del potere e smascherato la sua idolatria, ha donato salvezza fisica ed interiore, ha criticato aspramente ogni abuso di potere, ha coraggiosamente svelato ogni ipocrisia, ha denunciato le strumentalizzazioni della Parola divina, ha rimproverato l’attaccamento al denaro e ai vari profitti, ha soccorso i bisognosi, ha servito gli altri fino al dono di sé, ha fuggito chi lo voleva incoronare re, ha condiviso con i suoi discepoli molte responsabilità, ha invitato a seguire il suo esempio nel servire tutti, specie gli ultimi.

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