Al termine dell’Angelus odierno papa Francesco ha reso noti i nomi dei nuovi cardinali che riceveranno la berretta cardinalizia, entrando a far parte del Sacro Collegio il 30 settembre, cioè poco prima dell’importantissimo sinodo sulla sinodalità di ottobre, che alcuni hanno presentato, per il gran numero di partecipanti, come una sorta di Concilio.
Tra i nuovi cardinali si notano ovviamente tutti coloro che sono stati chiamati ad importanti incarichi in curia, alcuni nunzi che hanno servito da anni la Chiesa in contesti molto delicati, come gli Stati Uniti, il patriarca latino di Gerusalemme, l’italiano Pierluigi Pizzaballa, l’arcivescovo di Hong Kong, quello di Madrid e, importantissimo, quello della capitale del Sud Sudan. Particolare rilievo hanno anche l’ingresso nel collegio cardinalizio di un vescovo della Malesia e di uno della Tanzania. Ci sono ovviamente anche i titolari di altre importanti sedi arcivescovili, che rafforzano la dimensione di Chiesa globale ed espressione anche di piccole Chiese, le famose periferie di Francesco.
Ovviamente risalta l’assenza di porporati che guidano importanti diocesi italiane, come Milano, Torino, Venezia. Ma il punto vero non è questo. Il Sacro Collegio di Francesco non é un qualcosa di simile ad un Oscar alla carriera; non si tratta più dell’insieme dei più alti gradi della gerarchia cattolica. Certo, qualcosa del vecchio stile rimane, per forza. Ma lo spazio Francesco lo dà alle Chiese sempre rimosse o non considerate e che ora vengono chiamate ad arricchire di altri punti di vista, di altre esperienze, il collegio che dovrebbe unire le diversità cattoliche. Facciamo un esempio; il mondo visto da una grande città è importante, ma anche vederlo da piccolo cdntro soffocato dalla metropoli conta, deve contare. Così si compone l’unita delle diversità.
E allora non è tanto Hong Kong, tradizionalmente ormai nel Sacro Collegio, a colpire, ma la Malesia, per il cattolicesimo periferia ma per il mondo nuovo snodo cruciale. Che poi la Chiesa italiana possa pagare lo scotto di una scarsa dinamicità non dipende da altro che da incrostazioni dure a passare. Non credo ci siano pregiudizi, ma sopravvalutazioni italiane del passato e carenze italiane dell’oggi.
La riprova si ha con l’italiano Agostino Marchetto, in pensione da 13 anni. Ma prima di andarci attaccò duramente la Francia di Sarkozy per la decisione di espellere tutti i rom. Ricordò che già ai tempi di Hitler patirono lo sterminio. E oggi, italiano e ottantatreenne, diventa cardinale. Non avrà diritto di voto, ma è un ottimo simbolo di un valore non negoziabile. Al tempo, nel 2010, lui disse: “ Abbiamo dimenticato 600 mila zingari uccisi nei lager di Hitler. Li ha dimenticati il mondo intero e in particolare l’Europa. Gli ebrei possono celebrare la Shoah, hanno una identità condivisa sull’olocausto. Agli zingari non viene riconosciuto nemmeno il fatto che hanno sofferto. Lo dice praticamente solo la Chiesa, lo hanno ricordato sia Giovanni Paolo II, sia Benedetto XVI ad Auschwitz, dove c’è un sezione del campo appositamente per la soluzione finale degli zingari. Ma oggi quando si sottolinea una verità della storia molti in Europa fanno finta di niente, come se lo sterminio degli zingari fosse una leggenda”.
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