di Irene Perli
Se il grande Alberto Sordi ha dato la voce al personaggio del Marchese del Grillo per pronunciare la celeberrima frase “Io sò io, e voi non siete un ca**o”, un motivo ci sarà. L’Italia è un paese meraviglioso, ma fra le cose che offre ci sono anche i cosiddetti figli di papà, espressione rivolta a quei giovani provenienti da famiglie ricche o abituati agli agi e pochi sacrifici.
Nepotismo e raccomandazioni costituiscono gli alimenti principali con i quali molti di questi figli privilegiati fanno colazione la mattina. Ovviamente, essere discendenti da una famiglia ricca o importante non è una colpa, ed essere considerati soltanto per via del proprio cognome può essere difficile. C’è chi si sente grandioso, e si fa un vanto dei suoi agi immeritati. E c’è chi invece lotta per tutta la vita contro i giudizi esterni, per non essere considerato solo in base alla propria discendenza.
Viene quindi da chiedersi se il reddito dei genitori, assieme alla loro condizione sociale, possa influenzare il percorso delle vite dei figli e quanto il luogo di nascita determina la strada futura? Eancora, la meritocrazia è un mito o una realtà?
La Costituzione ribadisce l’uguaglianza tra cittadini (e quindi anche la parità di opportunità) eppure studi dimostrano che il figlio di una coppia di manager ha più del doppio delle possibilità di trovare un miglior impiego rispetto al figlio di operai. È una sfida, dunque.
Essere “raccomandati” o privilegiati può però causare differenti problematiche nel corso della crescita di un giovane ragazzo, per questo è importante comprendere il significato dell’espressione e le sue conseguenze. Essere raccomandati significa abituarsi ad essere accontentati, senza l’ombra di un minimo di sforzo per quello che si vuole ottenere. Spesso non si hanno obiettivi o, nel caso peggiore, si vive con la consapevolezza di raggiungerli senza impegno ma con una semplice raccomandazione.
Tutto questo può quindi portare allo stesso atteggiamento del Marchese del Grillo, di superiorità e sufficienza nei confronti di tutti coloro che non vengono reputati allo stesso pari, degni di condurre una vita all’altezza. Questo comporterà la non abitudine all’impegno, allo sforzo, alla fatica. E, di conseguenza, all’assumersi le responsabilità per le proprie scelte e per i propri obiettivi.
Dal dito si prende il braccio e lo sfarzo diventa sregolatezza. Nella peggiore delle ipotesi, poi, si può addirittura arrivare a pensare di essere più solidi della legge, tanto “io sò io e voi” invece …
A maggior ragione se c’è sempre la figura dei genitori alle spalle, che come un albero fa ombra e utilizza i sui agganci o la sua influenza per difendere i figli e screditare gli altri, attraverso la stessa retorica e gli stessi atteggiamenti che hanno poi trasmesso ai figli.
Basti pensare al caso La Russa junior, indagato con l’ipotesi di violenza sessuale ai danni di una giovane 22enne. Negli ultimi giorni le dichiarazioni del Presidente del Senato, La Russa senior, hanno minato la credibilità della testimonianza della giovane, non solo ridicolizzandone la denuncia, ma umiliandola ulteriormente affermando che mai il figlio avrebbe potuto compiere la violenza in questione. Ed ecco che si scivola di nuovo nella trappola dei potenti.
Come si può imparare a convivere con questa “ingiustizia sociale” che vede alla base un’assenza di pudore, civiltà e meritocrazia? Educando all’educazione, forse.
Ridondante nella pronuncia e difficile nell’attuazione, poichè sono i genitori i primis a trasmettere ai figli questo alone da super-uomini e super-donne, pronti ad ingaggiare qualcuno per poter far avere ai figli la strada sempre dritta e spianata, disabituandoli al significato di responsabilità
E in un sistema così, ad eccezione di coloro che invece, nonostante gli agi e privilegi, scelgono di farcela con le loro forze, l’educazione che viene data ai figli non li fa diventare adulti responsabili. Al contrario questi rimangono ancora bambini che, sotto sembianze da adulti, sembrano avere gli stessi atteggiamenti di un ragazzino della scuola primaria: se faccio il bravo (o se faccio una sfuriata) alla fine mamma o babbo mi portano in edicola a comprare il nuovo album di figurine dei calciatori.