Il caldo eccezionale, i disastri climatici in Italia, gli incendi in Grecia e nel nostro Paese, la storia infinita del PNRR, hanno cancellato dagli organi di informazione una tragedia che ogni giorno miete vittime, vittime senza nomi, vittime di una guerra infinita, una guerra che è pericolosa quanto quella delle bombe a grappolo e dei bombardamenti. Quante persone sono morte scappando dai propri paesi per approdare in Europa, in Italia, in Grecia, in Turchia, quanti esseri umani senza nomi hanno trovato la morte nel Mediterraneo, nel deserto tra la Libia e la Tunisia, ai confini dei luoghi di partenza, quanti?
E io che mi sento colpevole di tutto questo ho un mio pensiero particolare e non dimentico avendo vissuto all’estero cosa significa avere un visto, cosa significa fuori dall’Europa essere stranieri. Nel mio mondo colorato dove c’è posto un po’ per tutti, ho l’abitudine di affezionarmi alle persone e di pensare che aiutare anche pochi possa essere seppur una goccia nel mare, comunque, un contributo a queste ingiustizie, un piccolo atto di solidarietà. In Versilia mio luogo abituale di mare, da anni, conosco un ragazzo marocchino di Marrakech da cui compro l’Argan, parei e camicie colorate.
Ormai è italiano, sono 20 anni che sta in Italia, lavorava al seguito del padre e dello zio sin da bambino, era sempre arrabbiato e non sorrideva mai, rispondeva con rabbia, adesso è grande e si ferma a raccontarmi del suo Marocco, mi racconta della sua futura moglie, della bellezza del suo Paese e scambiamo due parole in arabo perché io di più non so. Si ferma all’ombra e mi racconta come vanno gli affari e cosa succede sul litorale, ha imparato ad amare l’Italia, ha imparato a non essere arrabbiato e accetta le correzioni in italiano. Ma alla mia domanda sui flussi dell’immigrazione in Italia, mi risponde che poi Salvini non ha sempre torto, ed è allora che con la mia teatralità partenopea gli dico: “Vabbè ma come.. io vi difendo e cerco di aiutarvi in tutti i modi e tu mi parli bene di Salvini?” Inizia uno scambio di opinioni in cui cerco di capire le sue ragioni e di spiegargli le mie, e capisco che lui teme di perdere il suo lavoro e che la sua cittadinanza si allontani. Mi ringrazia per avergli dedicato tempo, per aver discusso seriamente e non per aver contrattato qualcosa da comprare. Ogni anno si meraviglia che abbia una carnagione più scura della sua e io gli ricordo che sono una donna del Sud, una mediterranea, e poi parliamo della mia amica speciale, una donna straordinaria, una giornalista coraggiosa, la mia adorata Karima Moual, marocchina come lui, un po’ berbera e un po’ napoletana che combatte per un’immigrazione umana da anni. La segue anche lui in televisione e quando la vede pensa a quella signora scura che sta a Viareggio d’estate.
Per me il Marocco è il sorriso di Karima e dei suoi figli, della sua famiglia fantastica, è il calore ed il senso di famiglia che traspare quando li incontro, è il mio affetto per una persona speciale che non molla mai. Ma quest’estate mi è successa un’altra cosa davvero dolorosa e singolare che non riesco a dimenticare e che credo vada raccontata. Ero in acqua con le spalle all’orizzonte rivolta verso la spiaggia e le bellissime Apuane, premetto che dire che sono curiosa è davvero poco e dire che osservo anche i dettagli più banali è pochissimo, leggo moltissimi gialli e mi piacciono in tutte le cose i particolari, le sfumature e le cose non dette.
Sul bagnasciuga noto un venditore marocchino mai visto prima, alto e magrissimo, affaticato direi stremato, con un passo lento e trascinato, il volto pallido, carico di un sacco enorme, mi sembra in difficoltà. Io, privilegiata, entro in acqua e lo perdo di vista, poi girandomi lo vedo fermo, gli do un nome di fantasia, Karim. Si ferma sotto l’ombrellone del bagnino del Bagno accanto al mio e gli chiede di poter lasciare la sua borsa per poter fare un bagno, gli indica il mare e mima il gesto di spogliarsi. Il giovane bagnino gli risponde che non è possibile ed allora Karim reagisce non capendo bene la lingua, tra il dispiaciuto e l’arrabbiato insistendo sul voler fare un bagno. Nulla da fare si allontana demoralizzato ma ci riprova chiedendo ad alcuni bagnanti dello stesso stabilimento che accettano senza problemi, lascia in custodia tutto quello che possiede. In un lampo Karim si spoglia con pudore e raggiunge il mare. Nell’acqua è a pochi metri da me, è felice, si massaggia il corpo affaticato, si rinfresca, il mare per Karim sembra una medicina. Risale sulla spiaggia e il bagnino lo ospita con le sue cose sotto l’ombrellone, si riveste e ringrazia con diversi inchini e mani giunte. Una storia finita bene, Karim si incammina lungo la spiaggia. Uno spaccato di vita di Karim, un immigrato. Lo perdo di vista va verso il Lido di Camaiore, io mi giro e inizio a nuotare ma appena mi fermo mi commuovo e mi pongo tante domande: Karim dove vive, avrà dove lavarsi, avrà una dimora fissa, avrà abbandonato la sua famiglia, qual è la sua storia? Ma non avrò risposte credo, ed oltre alla commozione mi monta una grande rabbia.
Neghiamo un bagno in mare ad una persona che forse quel mare lo ha attraversato con un barcone, che forse ha perso qualche conoscente, amico, parente, quel mare che è un cimitero, simbolo del fallimento della civiltà e del progresso, la tomba dell’umanità, quel mare che porta alla salvezza, quel mare che rappresenta l’Occidente. Quel mare che amo, quel mare che per me è solo gioia e piacere immenso, chissà per Karim cosa rappresenta il mare, chissà cosa ha pensato in acqua, magari ai suoi luoghi natii, alla sua famiglia e alla vita che lo ha stremato. Cosa facciamo davvero per loro e cosa facciamo perché davvero possano essere felici nei loro paesi, cosa facciamo singolarmente e come comunità? Anche io per Karim non ho fatto nulla se non osservarlo, gli devo almeno questo racconto in cui è protagonista, sono tornata al sole, ho riaperto il mio libro, ho bevuto acqua fredda a volontà e continuato a vivere, mentre chissà cosa fa Karim ? So che se lo dovessi incontrare condividerò almeno la mia bottiglia di acqua fredda e se vorrà lasciarmi la sua borsa io sarò disponibile…Karim buona vita a te!
“La mia frase preferita l’ha pronunciata uno dei rifugiati, un ragazzo: “Non sono pericoloso, sono in pericolo”. Bono, leader degli U2