Messinese, come il grande romanziere Stefano D’Arrigo, anche Antonio Spadaro, nel giorno in cui lascia dopo dodici anni la direzione de La Civiltà per assumere nuovi incarichi nel dicastero pontificio per la cultura e l’educazione cattolica, deve aver pensato che fosse il caso di presentare in una sola intervista tutto il nuovo indirizzo teologico che Francesco intende dare alla Congregazione per la Dottrina della Fede con l’arrivo del nuovo Prefetto, quello che tutti chiamano il “suo teologo”, l’arcivescovo e tra pochi giorni cardinale Víctor Manuel Fernández. Come il romanzo di D’Arrigo tentò l’impresa di riunire in Horcynus Orca tutta la tradizione narrativa dell’Occidente, così questa intervista tenta di presentare la persone e le sfide, la preservazione e le innovazioni che un mondo spesso chiuso, percepito come “arcigno”, nel passato ma anche nel passato recente, hanno reso noto al mondo più per il rigore che per la misericordia. I più grandi teologi anche del recente passato, come Congar, lì più che discutere hanno sofferto.
Dunque è impossibile sintetizzare questa intervista, come è impossibile fare un bignami di Horcynus Orca e non non per la lunghezza dell’intervista, ma per la densità dei riferimenti e dei richiami teologici che andrebbero spiegati, non riassunti. Ma per farsi un’idea delle intenzioni, qualche spunto, senza la pretesa di sintetizzare, e quindi non considerando che alcuni passaggi capaci di proiettare aggiornamenti e valorizzazioni di secoli di teologia cattolica, può essere scelto. L’inizio dell’intervista è folgorante, per forza, chiarezza e importanza.
La domanda è secca, come secca è la risposta: riguarda il rapporto tra fede e ragione. Ecco cosa dice il teologo di Bergoglio: “ La Chiesa rifiuta il fideismo, difende il valore della ragione e la necessità del dialogo tra la fede e la ragione, che non sono in contraddizione. Ma attenzione, perché talvolta si colloca al centro della Chiesa «una» certa ragione, una serie di princìpi che reggono tutto, anche se si tratta in definitiva di una forma mentis, più filosofica che teologica, alla quale tutto il resto deve sottomettersi, e che alla fine prende il posto della Rivelazione! Pertanto, coloro che determinano la corretta interpretazione della Rivelazione e della verità sarebbero coloro che possiedono questa forma mentis, questo modo di ragionare, questa unica struttura possibile di princìpi razionali. Soltanto loro sarebbero «seri», «intelligenti», «fedeli». Ciò spiega il potere che si arrogano alcuni ecclesiastici, arrivando a stabilire ciò che il Papa può o non può dire, e presentandosi come garanti della legittimità e dell’unità della fede. In fondo, la forma mentis di cui essi si considerano guardiani assoluti è una fonte di potere che si vuole salvaguardare contro tutto. Non è la ragione, è il potere”.
Procedendo trovo che chiunque possa capire bene cosa dica Fernández sul rapporto tra teologia e vita personale, quel curioso rapporto che spesso ha convinto la Chiesa di vivere al sopra e al di là della storia. La risposta non è tutta qui, ma questo mi è parso il punto decisivo: “ Il pensiero si dipana alla luce della Rivelazione, ma necessariamente s’immerge nel contesto ineludibile della vita del popolo, che viene illuminato dalla Parola rivelata e a sua volta la interpella affinché faccia affiorare sempre di più la propria ricchezza. Al tempo stesso si pensa nel contesto di una prassi, e questa prassi impegnata apre al pensiero nuovi orizzonti”. Se qualcosa affiora sempre di più, per me vuol dire che non affiora mai in modo per sempre sufficiente.
Sulla teologia morale e la vita delle persone in carne e ossa monsignor Fernandez cita queste parole di Francesco che non sembrano una scelta casuale: “ Nelle difficili situazioni che vivono le persone più bisognose, la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò l’effetto di farle sentire giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare loro la misericordia di Dio. In tal modo, invece di offrire la forza risanatrice della grazia e la luce del Vangelo, alcuni vogliono “indottrinare” il Vangelo, trasformarlo in pietre morte da scagliare contro gli altri”.
Di qui, dopo poco, l’uomo chiamato a guidare la Congregazione per la Dottrina della Fede, a proposito di pietre, si sofferma sulla questione dei divorziati risposati, e anche qui dice una cosa molto interessante su dove sia giunto Francesco: “ Lo ha fatto accogliendo gli orientamenti dei vescovi della Regione Buenos Aires rispetto all’applicazione di Amoris laetitia. Essi parlano della possibilità che i divorziati in nuova unione vivano in continenza, ma aggiungono che «in altre circostanze più complesse, e quando non è stato possibile ottenere una dichiarazione di nullità, l’opzione citata può di fatto non essere fattibile». Quindi affermano che «ciò nonostante, è ugualmente possibile un cammino di discernimento. Se si arriva a riconoscere che, in un caso concreto, ci sono limiti che attenuano la responsabilità e la colpabilità, specie quando una persona consideri che cadrebbe in una mancanza ulteriore danneggiando i figli della nuova unione, Amoris laetitia apre la possibilità di accedere ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia».
Francesco ha subito inviato loro una lettera formale, confermando che il senso del capitolo VIII dell’Amoris Laetitia è questo. Ma ha aggiunto: «Non ci sono altre interpretazioni». Non è necessario attendersi risposte diverse dal Papa. Tanto gli orientamenti quanto la lettera del Pontefice sono stati pubblicati negli Acta Apostolicae Sedis, insieme a un rescritto che li dichiara «magistero autentico». Di conseguenza non ci sono più dubbi, ed è chiaro che il discernimento che tiene conto dei condizionamenti o fattori attenuanti può avere conseguenze anche nella disciplina sacramentale”.
Quando arriva la domanda sul rapporto con la scienza, il teologo ricorda l’importanza del confronto, sempre sapendo che le scienze empiriche non possono spiegare appieno la vita. Ma più avanti aggiunge parole importantissime: “ Non possiamo nasconderci in un limbo e ignorare che la violenza verbale di alcuni gruppi è uno sfogo comprensibile, dopo molti secoli di violenza verbale nostra, di un linguaggio ingiurioso, molto offensivo, o di una manipolazione delle donne come se fossero di seconda classe, molto sprezzante. Francesco è un modello di questa «pazienza» che nasce dal suo cuore di padre. È sperabile che con il tempo si riesca a trovare un equilibrio migliore, si possa riflettere e dialogare su questi temi senza tutta questa acredine, in modo meno aggressivo, con una serenità che ci consenta di trattarne più integralmente e più a fondo”.
Siamo a fatti più vicini, cioè la lettera in cui il papa chiede a monsignor Fernandez di superare quella realtà in cui la Congregazione per la Dottrina della Fede sembra fatta per confutare tesi, sottolineare in blu errori gravi. Ecco un passaggio della risposta molto articolata: “ Se si legge bene la lettera del Papa, è chiaro che in nessun momento egli afferma che la funzione di confutare errori debba scomparire. Evidentemente, se qualcuno dice che Gesù non è vero uomo o che tutti gli immigrati vanno uccisi, sarà necessario un intervento deciso. Ma al tempo stesso questo offrirà l’occasione di crescere, di arricchire la nostra comprensione. Per esempio, in questi casi la persona in questione andrà accompagnata nella sua legittima intenzione di mostrare meglio la divinità di Gesù Cristo, o bisognerà conversare su alcune leggi migratorie imperfette, incomplete o problematiche”.
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