“Evangelii Gaudium” dieci anni dopo: cosa ci ha insegnato l'enciclica di Francesco
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“Evangelii Gaudium” dieci anni dopo: cosa ci ha insegnato l'enciclica di Francesco

Dieci anni fa, il 24 novembre del 2013, veniva pubblicata l’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, il documento da molti definito programmatico del pontificato

“Evangelii Gaudium” dieci anni dopo: cosa ci ha insegnato l'enciclica di Francesco
Papa Francesco
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

24 Novembre 2023 - 11.42


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Dieci anni fa, il 24 novembre del 2013, veniva pubblicata l’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, il documento da molti definito programmatico del pontificato. L’espressione può essere discussa, perché il pontificato di Francesco non ha un programma “politico”, ma certamente questo testo ci ha detto e ci dice come Francesco si ponga davanti al mondo. Il punto fondamentale per capirlo, per valutarlo, per cercarne la bussola, è capire il rapporto tra il papa e i poli. Esistono infatti delle polarità, che appaiono in contrasto. E lo sono! Per esempio c’è una spinta alla globalizzazione, ma anche un spinta al localismo. Questo è evidente e permane, dividendoci.

Per Francesco queste polarità non si eliminano, non si elidono. Per dirla con chiarezza, non vanno “risolte”. Occorre salire di livello, e trovare il modo per sciogliere i nodi senza risolvere il contrasto che rimane. Il contrasto, o contrapposizione, non è una contraddizione. Davanti alle contraddizione il credente non può che fare una scelta netta. Ma davanti alle contrapposizioni il suo compito non è quello di far finta che non ci siano diversità, piuttosto di lavorare perché salendo ad un livello più alto le polarità producano un cammino in avanti che senza risolvere o eliminare tensioni esistenti co faccia procedere. Ma i poli sono necessari entrambi.  

Per restare all’esempio della globalizzazione e del localismo, Francesco ha da allora indicato la necessità di una “globalizzazione poliedrica”. Che cosa vuol dire? Che la globalizzazione è un bene, una realtà soprattutto, perché problemi con quello ambientale, tanto per fare un esempio, non si possono affrontare se non nella dimensione complessiva, globale, quindi insieme. Ma questa globalizzazione non può e non dovrebbe eliminare le differenze tra i popoli, che esistono e vanno valorizzate e rispettate. Quindi la globalizzazione non deve essere irriguardosa delle nostre diversità, naturali, sane e ineliminabili. Ma poliedrica, appunto. Non è una globalizzazione che rende tutto piatto, ognuno di noi uguale all’altro come i punti di una sfera, ma una globalizzazione nella quale ognuno rimane se stesso, evolvendo ma comunque con la sua dignità culturale. Ecco l’esempio del poliedro, la figura geometrica nella quale a differenza della sfera, tutti i lati sono diversi. Ma pur essendo diversi compongono un’unità.

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Questa globalizzazione che non massifica, non amalgama, rispetta. E perché deve rispettare le diversità? Perché nel disegno di Dio non c’è un’umanità di analoghi, ma di diversi, direi complementari come i poli. Dunque già da Evangelii Gaudium si può cogliere con chiarezza un riconoscimento del pluralismo umano che non si può negare rendendo tutto e tutti uguali.

Non è interessante che in un tempo di paradigmi tecnocratici il pluralismo riparta da un’autorità religiosa ritenuta centralista, verticista? 

Questa autorità religiosa ci dice inoltre che il suo metodo per rapportarsi al mondo si base su un principio: il tempo è superiore allo spazio. Espressione letterale carissima al papa e che è centrale nel suo pensiero e nella sua visione come e quanto la precedente, la globalizzazione poliedrica. Dire che il tempo è superiore allo spazio vuol dire che la cosa importante per la Chiesa, la sua Chiesa, non è occupare spazi, ma avviare processi. Il papa vede un possibile progresso continuo per l’uomo e il suo rapporto con una realtà dinamicamente in costante mutamento. Davanti a questa realtà in costante mutamento Bergoglio si pone alla ricerca dei cosiddetti segni dei tempi avviando processi: processi di comprensione, di lettura della realtà, delle nuove frontiere, delle nuove emergenze. Questi processi, storici, ci portano avanti in una costante rilettura della verità alla luce della nostra migliore comprensione di esse e delle nuove realtà sociali che ne richiedono un adeguamento a contesti modificati. Non si tratta dunque di consolidare ciò che si è ottenuto, di consolidare gli spazi di potere conseguiti, ma di seguire il cammino dell’uomo nella storia, con lui, con la sua mutevole realtà nelle mutevolezza del cammino. 

Questa capacità di non voler eliminare i poli, di non voler eliminare il conflitto sano che tra le polarità esiste, ci spiega perché Bergoglio dica che l’unità è superiore al conflitto. Non si deve sconfiggere, ma contemperare le polarità in contrapposizione ad esempio, considerare globale e locale, l’esempio a cui siamo ricorsi per spiegarci, ma anche propensione al tradizionale e all’innovativo per capirsi meglio. 

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Accanto a questo criterio fondamentale ve ne è un altro, collegato e semplicissimo: il tutto è superiore alla parte. Anche questo criterio che appare banale, banale non è: “ Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi”. 

Certe polemiche sul suo atteggiamento davanti ai recenti conflitti non tengono conto che questa capacità di allargare lo sguardo il papa non ritiene di essere l’unico a poterla cercare, ma che deve proporcela sempre. Qui Francesco torna al discorso della sfera che annulla e spiega: “ una persona che conserva la sua personale peculiarità e non nasconde la sua identità, quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo. Non è né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili”. La modernità di questo pensiero dunque ci porta a trovare in una tradizione antica, il richiamo alla comunità, una capacità di integrare, avvicinare, mescolare, individualismo e socialità, evitando sia il rischio dell’annullamento dell’individuo sia il pericolo della sterilità individualista. 

Ma anche una brevissima e superficiale presentazione come questa non può prescindere dal punto che segue: “la realtà è superiore all’idea”. La continua, costante polemica bergogliana nei confronti delle ideologie è tutta qui. Ha scritto su Civiltà Cattolica padre Gaetano Piccolo:  “ Questa insistenza sull’efficacia della realtà, per non perdersi nei possibili travisamenti dell’idea, è estremamente attuale e fortemente presente nel dibattito filosofico contemporaneo. In diversi contesti culturali – non solo europei, ma anche negli Stati Uniti e in Australia – si parla infatti di «nuovo realismo» e talvolta addirittura di un ritorno alla metafisica. La questione è: esiste un mondo indipendentemente da un soggetto che lo pensa?  La realtà è l’inemendabile: il fatto con il quale mi scontro, che posso provare a comprendere, ma che non è a disposizione del mio tentativo di manipolazione. La realtà diventa così limite, ma nel contempo limite rassicurante. Papa Francesco sembra dunque recuperare con un tempismo straordinario il nucleo di un dibattito caro alla tradizione, inserendolo nella discussione culturale attuale, indicandone anche i possibili risvolti etici. Perché il primato del reale, senza il quale il soggetto non si potrebbe neanche pensare, coincide con la consapevolezza di essere inevitabilmente in relazione con il tutto di cui esso è parte”. 

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Serve capire un po’ meglio e padre Antonio Spadaro ci ha dato, in un’intervista di qualche tempo fa, una categoria decisiva, l’esperienza: “ Papa Francesco non è una persona che ama mettere in primo piano il concetto. Non parte da idee chiare e distinte per poi applicarle: parte sempre dal contatto con chi ha davanti, persone o gruppi. Da un lato è una categoria radicata nella sua spiritualità, nella formazione gesuitica: per la pedagogia di sant’Ignazio, il punto di partenza e di lavoro è sempre il contesto e l’esperienza. Lo ha detto chiaramente nella Evangelii Gaudium, ma lo aveva ribadito anche in passato: la realtà «è», mentre l’idea è frutto di una elaborazione che può sempre rischiare di cadere nel sofisma distaccandosi dal reale, fino a rischiare persino il totalitarismo, se l’idea vuole imporsi sulla realtà. Per il Papa la realtà è sempre superiore all’idea. È uno dei suoi quattro principi fondamentali di lettura della realtà. Dunque se una riflessione può essere fatta, è solo alla luce dell’esperienza. E soltanto dopo questa riflessione viene la valutazione per rilanciare l’azione. Dall’altro, per il Papa conta molto la sua esperienza pastorale. Sono i volti concreti delle persone incontrate che lo hanno, in un certo senso, convertito all’esperienza. Durante il suo lavoro a Buenos Aires, per esempio, ha maturato tantissimo l’importanza di questo contatto diretto con la gente. Non è una categoria intellettuale: è la stessa esperienza che lo muove a partire dall’esperienza”. 

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