Benedizioni alle coppie omosessuali: quello che non si vuole capire sull'apertura della Chiesa di Francesco
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Benedizioni alle coppie omosessuali: quello che non si vuole capire sull'apertura della Chiesa di Francesco

Non si tratta di un riconoscimento della loro condizione, ma della disponibilità a presentare a Dio la loro richiesta di aiuto a cercarlo nella condizione in cui si trovano e nella vita che vivono.

Benedizioni alle coppie omosessuali: quello che non si vuole capire sull'apertura della Chiesa di Francesco
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

24 Gennaio 2024 - 15.15


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La Dichiarazione Fiducia Supplicans, quella che consente ad un prete di benedire una coppia irregolare o omosessuale che lo richieda, seguita a creare malesseri diffusi nelle mondo cattolico. E’ importante tornare ancora brevemente sul significativo dato dal testo all’atto di benedizione. Non si tratta di un riconoscimento della loro condizione, ma della disponibilità a presentare a Dio la loro richiesta di aiuto a cercarlo nella condizione in cui si trovano e nella vita che vivono. L’idea a mio avviso è che Dio, perdonando tutto, saprà accettare la richiesta di aiuto di chi si trova nelle condizioni che lui benedice, cioè il matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna. 

Le difficoltà ad accettare questo derivano a mio avviso dalla convinzione che Dio sia fatto a nostra immagine e somiglianza, e quindi agisca come noi, che il pentimento lo richiediamo in anticipo. La Dichiarazione invece ribadisce che omosessuali e irregolari non sono nel giusto, ma se vogliono ricercare l’aiuto di Dio questa loro ricerca merita di essere sottoposta, affinché loro procedano nella ricerca dell’aiuto possibile nelle condizioni a loro date. 

Dunque il Vaticano prosegue nella vecchia visione: irregolari e omosessuali nelle loro unioni sono in errore, è così e così rimane. Ma a me sembra che la benedizione pastorale, non liturgica, dica che l’amore di Dio segue anche chi pecca, chi sbaglia. E quindi la Chiesa non rinuncia al suo compito di presentare la loro supplica di aiuto. Chi accede a questa benedizione conviene,  altrimenti chiederebbe una benedizione liturgica, come quella che si dà a chi si sposa, e non una semplice benedizione pastorale, che nulla riconosce se non la richiesta d’aiuto, di sostegno. 

Molti episcopati africani, anche di quei Paesi dove gli omosessuali sono perseguitasti con la pena di morte, o all’ergastolo, si sono dissociati. Nei loro Paesi non sarà consentita benedizione, ma resteranno -ove vigenti- condanna a morte o ergastolo.  

Tutto questo mi ha fatto ricordare del cardinal Carlo Maria Martini e della sua storica affermazione che la Chiesa è sempre in ritardo di due secoli. Si riferiva ovviamente a problemi connessi con l’etica sessuale. Quello che qui si colmerebbe è invece un ritardo di solo Cinquant’anni. Eravamo infatti all’inizio degli anni Settanta quando negli Stati Uniti quando si verificavano le prime proteste contro le retate di polizia nei locali per omosessuali, per LGBT.    L’Istituto Beckham ha ricostruito la storia del movimento LGBT, quegli esordi, per poi scrivere: “ Nel 1977, Harvey Milk è il primo uomo dichiaratamente gay ad essere eletto consigliere comunale di San Francisco, una delle maggiori città degli Stati Uniti. Le sue battaglie a favore di leggi per i diritti della comunità LGBT+ sono note, soprattutto per quanto riguarda la sua opposizione alla Proposition 6, la quale avrebbe previsto il licenziamento degli insegnanti dichiaratamente gay. Purtroppo Harvey Milk viene assassinato nel 1978 insieme al sindaco, da un ex consigliere comunale, all’interno del municipio. La sera dell’omicidio riuscì ad organizzarsi un corteo spontaneo a lume di candela di oltre trentamila persone in memoria del consigliere”.

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Da allora si è arrivati anche alla riformulazione del catechismo, che ora parla di accoglienza, delicatezza nei confronti degli omosessuali, che però definisce “disordinati”. Questo disordine è stato capito da molti come un “rifiuto persistente”,  l’accoglienza non è mai stata spiegata praticamente: in cosa consiste? 

Varato nel 1992, il punto  2358 che “un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione”. Al punto successivo si afferma che a loro è richiesta la castità.  

Quella che rimane dunque mi sembra una visione: riassumere la vita dell’omosessuale nell’atto sessuale (maschile) ritenuto abominevole. Infatti la Chiesa fa una distinzione importante nel formulare il suo giudizio morale sull’omosessualità : da una parte c’è la tendenza omosessuale, la cui origine non è ancora chiara; dall’altra parte esistono i rapporti sessuali tra omosessuali. Questo indica che ancora rimane incompreso il senso della condanna biblica di Sodoma. Il testo biblico comincia così: “ due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. E disse: «Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada».

Quelli risposero: «No, passeremo la notte sulla piazza». Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere gli azzimi e così mangiarono. Non si erano ancora coricati, quand’ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono intorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo. Chiamarono Lot e gli dissero: «Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!». Lot uscì verso di loro sulla porta e, dopo aver chiuso il battente dietro di sé, disse: «No, fratelli miei, non fate del male! Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all’ombra del mio tetto». Ma quelli risposero: «Tirati via! Quest’individuo è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a loro!». E spingendosi violentemente contro quell’uomo, cioè contro Lot, si avvicinarono per sfondare la porta”. Chiunque capisce che è condannata la mancata ospitalità verso gli stranieri, peccato gravissimo al punto di provocare la distruzione di Sodoma.  Lo straniero è ancora guardato con sospetto senza che questo scandalizzi molti.

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Il cardinale Ambongo invece, a nome di molte conferenze episcopali africane, oltre a invocare la condanna  contenuta nel Levitico dell’abominio omosessuale ha ricordato che una conferenza episcopale si è attardata ancora a ricordare anche il caso di Sodoma. Quello che emerge è in entrambi i casi un letteralismo che cancella ogni possibile evoluzione dell’antropologia nei millenni. Questo non vuol dire non rispettare diversità culturali (nessuno obbliga a benedire) ma rinunciare al bisogno di essere noi i giudici eterni e infallibili.

Ecco, a mio avviso la novità è che la Dichiarazione non riassume l’unione tra due omosessuali all’ un atto sessuale ( che nel caso delle donne non è sotto il marchio d’infamia, ma nel giudizio  tale rimane), ma la vede nell’ umana condizione di incontro con un’altra persona, che  vuol dire gioire insieme, assistere, essere assistiti, aiutare, essere aiutati, accompagnare, essere accompagnati. La castità richiesta dal Catechismo è per loro un problema, certo, ma già in Giovanni Paolo II, quando i divorziati risposati ( le coppie irregolari nel linguaggio odierno) non furono più “pubblici infami” come allora li definiva il diritto canonico, ma “parte della comunione ecclesiale” alla condizione che vivessero nella castità. Se questo è concepibile, perché non lo sarebbe per gli omosessuali, perché le loro storie devono essere ridotte all’atto sessuale? Mi sembra evidente che il punto posto da entrambe le richieste di castità – quella che il catechismo rivolge agli omosessuali rendendo così ammissibile la loro unione nella castità così come fa Giovanni Paolo II con i divorziati risposati, è un evidente sessuocentrismo. Questo però si capiva quando l’uomo ancora aveva stili di vita assimilabili a quello del branco, senza rispetto della persona: oggi credo serva riscoprire la priorità della  dignità umana  in un contesto enormemente mutato. 

Ma la Dichiarazione vaticana non arriva a riconoscere le coppie omosessuali cattoliche parti della comunione ecclesiale alla quali richiedere la castità, ma molto più semplicemente come costituite da persone che hanno il diritto di cercare Dio nella loro vita, che non può riassumersi ad un presunto atto sessuale. 

La Dichiarazione  non afferma, come a me sarebbe piaciuto facesse, che alla base di queste unioni, irregolari e omosessuali, sussistono i tre caratteri fondamentali dell’amore: dono, gratuità e fedeltà. Non lo fa. Mi fa però capire che l’accoglienza per gli omosessuali  di cui parla il catechismo non c’è perché da molti l’omosessuale viene ancora  astratto dalla sua vita, non ci si rivolge a un essere umano concreto, in carne ed ossa. E’ questo uomo, innamorato,  che la Dichiarazione accoglie, seguitando a ritenerlo “disordinato”. Non lo marchia più però, lo accetta nella sua ricerca di Dio quando lui la proclama. 

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Molti, nella cultura secolarizzata,  hanno ritenuto questa “apertura” minimale. Stante il pandemonio che è successo mi sembra di poter dire che non hanno capito. Confermando cioè di non rendersi conto. Ma non si rendono conto neanche i cattolici “benpensanti”, convinti di agire come prescritto da Dio. Ne sono sicuri? Non è che gli accade di usare il profilattico, che l’etica cattolica proibisce di usare? Prima di partecipare a una qualsiasi funzione religiosa, in cui i presenti vengono benedetti, dovrebbero proclamare il loro pentimento, il giuramento di non farlo mai più. O comunque, vista l’età media dei praticanti, di pentirsi di averli usati anni addietro. E ancora:  non è che pratichino, se molto giovani, il sesso prematrimoniale? Anche costoro dovrebbero  fare analogo giuramento prima di entrare in Chiesa. Ma proviamo a immaginare due fidanzati che non hanno ancora il modo di sposarsi, vivere sotto lo stesso tetto, per persistenti difficoltà lavorative che gli impediscono di costituire una famiglia. Se volessero presentare a Dio la loro richiesta d’aiuto sarebbe giusto indagare, chiedere solenni giuramenti, impegni a cambiare la loro vita prima di poter ottenere che la loro supplica venga presentata, accolta? 

La celebre frase del cardinal Carlo Maria Martini sui ritardi della Chiesa, a mio avviso, mi fa prendere atto che buona parte della Chiesa rimane intenzionata, determinata a restare in ritardo, anche ridurlo a soli 50 anni non appare accettabile. Quello che ha dato agli omosessuali parlando di accoglienza e delicatezza nei loro confronti è un semplice formalismo?  Gli omosessuali devono rimanere discriminati, e non perché essa, la Chiesa, li definisce disordinati, ma perché dentro di noi sentiamo che in realtà vanno stigmatizzati? 

La prospettiva che colgo nella Dichiarazione può portarci molto al di là del caso specifico, portandoci a cambiare un punto fondamentale del nostro discorso: la giustizia non è un muro che esclude, ma un progressivo avvicinamento, una marcia nella quale ognuno può sperare di capire essendo capito. Questo potrebbe aiutarci moltissimo in questo tempo di guerre, di odi , di condanne. Le nostre guerre, come quella bushiana al terrorismo, sono combattute per imporre il bene, come Dio ci imporrebbe di imporlo donandolo ai giusti soltanto, con il Paradiso. 

Per me apparirebbe più interessante credere che la fede sia nell’esistenza, qui sulla terra, di una locanda dove sono ammessi tutti i peccatori che cercano ristoro, trovando il modo di rifocillarsi, insieme, ciascuno consapevole della propria  imperfezione. 

Qui a mio avviso potrebbero ritrovarsi credenti e non credenti,  e  i nostri conflitti si potrebbero ricomporre, dovendosi rinunciare all’idea che qualcuno sia in un pieno, astorico “giusto”, e un altro nel pieno, astorico “errore”. La bussola per farlo sarebbe il comune desiderio di avvicinarsi al bene comune, che, come i tempi, cambia. 

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