Mi sembra evidente che Francesco si trovi a guidare una Chiesa che deve fare ancora tanti conti con la pesante e rediviva eredità pre-conciliare. Una spia tra le più evidenti di questa realtà è la questione femminile. Come negare che la Chiesa sia stata al cuore di una cultura che col tempo è diventata misogina e ha plasmato le nostre società nel maschilismo e nella cultura patriarcale? Ora l’ideologizzazione della questione abortista e antiabortista rischia di creare una nuova guerra civile pro e contro “l’emancipazione femminile”.
Direi, per non dilungarmi troppo, che questo è il mea culpa che manca, quello verso le donne, verso il femminile. Il riemergere di tentazioni tradizionaliste lo rende urgente. La Chiesa cattolica che si edifica su un clero solo maschile ne è la più grande riprova. Lo dico da un punto di vista culturale, non ho titoli per parlarne da un punto di vista ecclesiale. Ma il fatto stesso che le donne siano escluse dall’odierne forma “sacerdotale” conferma la visione misogina per cui Eva è colpevole della nostra disgrazia, Dio è padre e non madre e così via.
Così io dico che questo è il tempo del mea culpa ecclesiale per le discriminazioni patite dalle donne anche, non solo, ma anche per colpa della Chiesa. Questo mea culpa sarebbe importante perché servirebbe a contrastare una cultura pericolosa, quella rivoluzionaria, che si basa sempre sulla sovversione del paradigma. E tutti sappiamo come le rivoluzioni facilmente divorino sé stesse. L’aborto inteso come “diritto” e non come “prevenzione” comune e necessaria dell’orrore dell’aborto clandestino, o come “dolorosa terapia” ( fisica, psichica, sociale, culturale, familiare e così via), è solo un esempio di come un paradigma erroneo e sostanzialmente fascista produca un errore di segno opposto. Rivendicare l’aborto come “diritto” non va nella direzione del più chiaro liberismo? Ma non intendo affrontare il delicatissimo tema dell’aborto ma dell’urgenza di un mea culpa verso le donne che servirebbe a tutti, non solo alle donne. Questo “mea culpa” che manca espone Francesco e le sue riforme a un rischio che provo qui a spiegare in modo molto semplice: qualsiasi governante sa che esiste un solo riformismo possibile, quello gradualista. Anche le famose riforme strutturali non potevano che essere graduali. Dunque, comunque la pensi Francesco in cuor suo in merito alla curiosa prassi per cui solo i maschi possono essere ordinati, resterà certamente il fatto che lui sa che qualsiasi riforma, reale e non sognata, non potrà che essere gradualista.
Devo spiegare, al di là dell’ovvio, perché mi sembri astruso che solo i maschi possano essere ordinati. Ho spesso sentito dire che ciò deriverebbe dal fatto che gli apostoli erano tutti maschi. E allora? La sera dell’ultima cena Gesù a mio avviso ha istituito il sacramento della comunione, non il sacerdozio. Gesù infatti ha polemizzato con i sacerdoti, non ha istituito nessuna casta sacerdotale, ma il sacerdozio di tutto il popolo di Dio, come si legge chiaramente nella prima lettera di San Pietro: “ anche voi, come pietre viventi, siete edificati per essere una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo”.
Il giorno di Pentecoste, presenti anche le donne, è stato però istituito un ministero (cioè un servizio) che nulla a quel tempo ha detto dovesse essere riportato alla separatezza degli antichi sacerdoti, mentre era un servizio laico come gli altri ministeri cristiani. Il capovolgimento è una stranezza che sa di “ potere”, a mio avviso. Dunque il vero punto non è tanto perché le donne non possano essere ordinate, o diventare sacerdotesse, quanto perché mai alcuni maschi siano costituiti in casta sacerdotale. Non sarebbe più logico che entrambi svolgessero il ministero e non tornassero a costituire una casta? È una tesi netta, diciamo radicale, ma che spiega la sostanza del problema “strutturale”. La scelta operata secoli fa ha creato il cosiddetto “stato clericale” ed è databile ai tempi di Costantino, costituendo nei fatti una evidente rottura con la novità cristiana che aveva archiviato la dimensione “ sacerdotale”, termine assente per secoli nella letteratura e nella cultura cristiana.
Il ritorno alla separatezza sacerdotale ha dunque portato a quello che oggi si chiama clericalismo. Francesco avversa apertamente il clericalismo, ma se lo facesse in questi termini non sarebbe un riformatore, sarebbe un affossatore della lotta al clericalismo. Ma che si tratti di una “casta” che si eleva sopra i fedeli laici lo dimostra l’espressione “ riduzione allo stato laicale”. Non attribuisco queste idee a Francesco, sia ben chiaro, so però che nella lettera al popolo di Dio pellegrino in Cile il Papa ha scritto: “Nella mia esperienza di pastore ho imparato a scoprire che la pastorale popolare è uno dei pochi spazi in cui il Popolo di Dio è svincolato dall’influenza di quel clericalismo che cerca sempre di controllare e di frenare l’unzione di Dio sul suo popolo”. Francesco ricorda spesso l’unzione battesimale.
Altre stranezze derivano però dal desiderio di “potere”. Il cattolicesimo infatti ha attribuito a Gesù la curiosa – per me- idea di fondare non su stesso, ma su un suo apostolo, San Pietro, la sua Chiesa. Possibile? Il figlio di Dio fonda non su di sé ma su un non irreprensibile pescatore la sua Chiesa? Cercando di capire esce fuori che la famosa frase “tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa” non rende bene il senso della frase originale. Nel testo greco Pietro e pietra non sono espressi con lo stesso vocabolo, ma con due vocaboli diversi, “pietra” e “roccia”. Dunque il senso della frase è più normalmente comprensibile così: “Pietro, tu sei una pietra (che si muove, scivola), sulla roccia (che sono io) fonderò la mia chiesa”, (alla quali tu contribuirai). Ma il desiderio di primato, di sottomissione delle altre chiese, ha fatto di Pietro e non di Gesù il fondamento della Chiesa.
Ora se si decidesse di porre mano a tutto questo insieme, dire che Pietro non “è la roccia”, la roccia è Cristo, e dire che va superata lo stato clericale separato dal resto del popolo di Dio , si produrrebbe un disastro.
L’importante è pensarci e cominciare un necessario cambiamento, e a mio avviso Francesco ha cominciato a porre mano al primo e al secondo problema. Il problema per lui non è ordinare donne “sacerdotesse”, ma dare più ruolo alle donne nella Chiesa. Certo, facendo così non tocca l’illogicità dell’ordinazione sacerdotale solo maschile, ma avvia un cammino riformatore, aprendo le porte del diaconato alle donne in un modo però che renda chiaro, hai visto mai che i conservatori decidano lo scisma, che questo diaconato non appartiene all’Ordine Sacro, non apre cioè le porte al sacerdozio. È poco? Personalmente non credo, ma se a noi le sacerdotesse sembrano una soluzione a una discriminazione ingiustificabile, queste sacerdotesse non ridurrebbero il clericalismo ecclesiale, mentre la soluzione gradualista che sembra delinearsi riduce la discriminazione femminile e non nega che l’obiettivo non può essere avere uomini e donne ordinati, ma uomini e donne che svolgono quel ministero superando la dimensione di casta sacerdotale. I traguardi ci sono, sono importanti, ma si trovano alla fine di percorsi. Non dico che questo sia il traguardo a cui pensa Francesco, parlo del processo riformista come a me sembra logico immaginarlo.
Analogamente la riforma, al di là di quanto pensi in cuor suo Francesco, non deve dire che Pietro non è la roccia, ma mettere in chiaro, come dice Francesco, che il successore di Pietro è un “primus inter pares”, non il capo di tutti i cristiani, che poi sarebbe il vero e auspicabile cambiamento. Un cambiamento virtuoso, perché apre le porte al pluralismo; i cristiani sono diversi e le diversità arricchiscono, per questo Pietro è bene che sia “solo” un primo tra pari.
Questo, a mio avviso, è importante non solo per la Chiesa, ma per la cultura e per la nostra società sulle quali pesano i danni prodotti da secoli di misoginia ecclesiale e di assolutismo papale. E una Chiesa costruita su un clero ordinato e solo maschile rimanda ancora, con o senza Francesco, questa cultura misogina e questa visione verticista, leaderismo, uniformatrice.
Le riforme per essere effettive possono solo essere ispirate da un sano “gradualismo”, perché le riforme sono un processo. Ma se la Chiesa ha i suoi tempi e questi vanno rispettati, la società ha le sue urgenze che non possono aspettare secoli. L’esempio della questione omosessualità spiega tutto: la Chiesa è lenta, ne ha probabilmente diritto, ma gli omosessuali avevano fretta e le benedizioni sono state il minimo sindacale, sebbene alla Chiesa sia apparso tantissimo. Ora servirebbe mettere mano al catechismo: cosa vuol dire definire l’omosessualità una forma di “disordine”? Non è l’amore quello che conta?
I tempi del gradualismo ecclesiale non possono essere imposti alle società moderne, pena gravi guai, ma i tempi delle società società moderne non possono essere imposti alla Chiesa, che giustamente ha i suoi. Occorre gradualismo, ma siccome la società è un corpo vivo nell’oggi io credo che serva un mea culpa della Chiesa, cattolica, apostolica e romana, per quella misoginia che, in forma più o meno mascherate, rischia di tornare.
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