La povertà è scomoda ma bisogna condividerla attraverso l'altruismo: così vivemo liberi
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La povertà è scomoda ma bisogna condividerla attraverso l'altruismo: così vivemo liberi

Una forte mentalità propugna l’egoismo come unica ragione di vita, fino a ritenere che la gratuità sia impossibile. Ma non è così

La povertà è scomoda ma bisogna condividerla attraverso l'altruismo: così vivemo liberi
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Rocco D'Ambrosio Modifica articolo

12 Ottobre 2024 - 13.47


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Il Vangelo odierno: In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà»
(Mc 10, 17-30 – XXVIII TO/B).

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I discorsi sulla povertà sono scomodi, sia in tempi di crisi sociale ed economica, come gli attuali, sia in altri tempi; sia a queste latitudini che altrove. Sempre, dovunque e comunque. Sono molto scomodi; specie per chi povero non è. Confesso tutta questa scomodità. Il dialogo tra Gesù, Pietro e i discepoli non sembra affatto mirato a rendere il discorso più comodo e accettabile. Infatti l’evangelista annota: “I discepoli erano sconcertati dalle sue parole”. Sconcerto perché Gesù presenta la povertà come via maestra per entrare nel Regno e la ricchezza, di conseguenza, come motivo principale per esserne esclusi. Infatti Gesù chiosa: “Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”.

Dobbiamo riflettere sulla povertà e sentire, sempre e comunque, tutta la scomodità di questo discorso. Se dovessimo non sentirla, rischieremmo di cadere nel moralismo o in un tipo di esortazione vuota e sciocca, spesso anche ipocrita: richiamiamo la povertà ma non abbiamo nessun interesse viverla, la esaltiamo negli altri ma ci guardiamo bene dal condividerla. Della seria la povertà diventa uno di quei pesi “insopportabili che imponiamo agli altri, ma non tocchiamo nemmeno con un dito” (cf. Lc 11, 46). Il Vangelo è terribilmente chiaro: chi ha di più deve dare di più; in tutto: in denaro, risorse, affetto, intelligenza, tasse (lo ricorda anche la Costituzione), servizio di volontariato, tempo e cosi via. Deve dare di più e non tenere di più!

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Se non lo fa il problema credo abbia a che fare con una radice interiore molto precisa: la libertà. Era questo uno degli insegnamenti più profondi del mio maestro don Ignazio Fraccalvieri. Il tale, che incontra dialoga con Gesù, infatti, non lo accetta il suo invito a essere povero perché “a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni”. Era molto legato, non solo aveva molti beni, ma non accettava l’idea di vendere tutto e di darlo ai poveri.

Come si può vendere tutto se non si è liberi da quello che si possiede? Come si può donare a chi non ha se si crede più nell’umana previdenza che nella divina provvidenza? Come si può essere generosi se ci facciamo prendere da mille paure per la crisi economica e tutto diventa un calcolo?

Chiunque crede, come Plauto, che ognuno è lupo dell’altro (homo homini lupus), certamente riterrà la gratuità come impossibile dal punto di vista umano e non conveniente economicamente. Ma il punto è proprio questo: cosa è conveniente e quanti parametri di convenienza esistono? La gratuità sboccia quando si impara a pensare profondamente, e non solo a calcolare costi e benefici economici delle nostre azioni; quando si scoprono convenienze che vanno oltre il denaro; quando si apprezzano i doni ricevuti e quelli offerti ad altri. Una forte mentalità propugna l’egoismo come unica ragione di vita, fino a ritenere che la gratuità sia impossibile. Ma non è così: l’altruismo, la gratuità, il dono, la sobrietà nel possedere sono possibili; sono veri, utili, indispensabili per vivere una vita degna di questo nome. Ed essere liberi.  

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