Legge boicottaggio, tirannia della maggioranza
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Legge boicottaggio, tirannia della maggioranza

Alle voci e alle proteste della società civile israeliana che contestano l’approvazione dell’”AntiBoycott Bill”, si sono aggiunti oggi anche 32 accademici.

Legge boicottaggio, tirannia della maggioranza
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14 Luglio 2011 - 16.15


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Nonostante come il Ministro della Difesa Barak, anche Binjamin Netanyahu non si sia presentato al voto della legge contro il boicottaggio approvata in via definitiva lunedì alla Knesset (il Parlamento israeliano) con 47 voti a favore e 38 contrari, ieri il Primo Ministro, nel suo intervento nelle aule parlamentari, ha affermato a gran voce che la legge in questione “è un prodotto di un processo democratico in uno stato democratico”. Affermazioni che oggi hanno provocato l’immediata risposta di 32 accademici delle università israeliane, appartenenti in gran parte alle facoltà di legge, che hanno sottoscritto un appello alla magistratura, definendo la legge “incostituzionale” (sebbene Israele non abbia una reale Costituzione).

32 firme, alle quali, secondo le previsioni, se ne aggiungeranno molte altre entro il finesettimana, che concordano sul fato che “l’Antiboycott Bill”, che punisce individui, gruppi e associazioni che promuovono e invitano a boicottare Israele, incluse le colonie e i prodotti commerciali che vi si producono, danneggia la libertà di espressione politica e la libertà di dissentire in modo pacifico. Tra i firmatari, il Prof Niva Elkin-Koren, preside della facoltà di legge dell’università di Haifa, e il Prof Alon Harel, docente della Hebrew University: avrebbero voluto aggiungersi anche ricercatori, dottorati e dottorandi ma sono stati “sconsigliati” dai professori, dal momento che una tale scelta potrebbe “compromettere” la loro carriera universitaria. Pur non sostenendo il boicottaggio, gli accademici hanno unanimemente affermato- come si legge nella lettera – che da un punto di vista legale, tale legge mette in atto l’espressione della “tirannia della maggioranza”, dal momento – come ha chiarito Harel – che le restrizioni all’espressione politica colpiscono solo una parte quella minoritaria, a vantaggio della parte che rappresenta la maggioranza.

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Il dibattito sulla nuova legge, effettiva già da martedì scorso (tranne che per l’articolo 4, quello in merito alla punizione di organizzazioni che sostengono il boicottaggio, che sarà in vigore tra 90 giorni) ha suscitato non poche discussioni al’interno del parlamento, dove alcuni deputati arabi si sono fermamente opposti al decreto (Hanen Zouabi, di Balad, è stata addirittura espulsa dall’aula parlamentare mercoledì) e c’è anche chi (sia nella coalizione di governo che nell’opposizione) ha proposto di sanzionare i parlamentari che non erano presenti al voto di lunedì.

Da mesi, le organizzazioni pacifiste e i movimenti in difesa dei diritti del popolo palestinese esprimono il loro dissenso contro questa legge. Il dibattito è acceso anche sulla stampa; Yedidia Meyer di Yediot Ahronot sostiene la legge nella sua originaria forma,– cioè negando sovvenzioni e benefit a chi nel mondo sostiene il boicottaggio – poteva avere un senso, mentre la legge attuale testimonia non il patriottismo ma l’opposto, cioè il tentativo di rafforzare un sentimento di patriottismo. Più duri gli editoriali su Ha’aretz: Bradley Burston definisce l’approvazione della legge un cambiamento epocale nella storia di Israele, “la soglia del fascismo israeliano” e per questo secondo lui né Barak, né Netanyahu, insieme ad altri 10 ministri, si sono presentati in aula per il voto. Gideon Levy, infine, sempre su Ha’aretz, invita a boicottare non solo i prodotti delle colonie ma la legge stessa. Un invito che un gruppo di attivisti israeliani, “Boycott from Within”, aveva già lanciato nei giorni passati, dichiarando di non “rimanere in silenzio”, ribadendo il sostegno all’appello lanciato dalla società civile palestinese per la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, e proponendo un “embargo militare” su Israele.

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Più caute ma comunque molto critiche le organizzazioni del cosiddetto “campo della pace” israeliano. A poche ore dal voto del provvedimento, la pagina di face book di Peace Now che invita ad una campagna pubblica di boicottaggio dei prodotti delle colonie, aveva raggiunto i 2000 iscritti. Una campagna alla quale si è aggiunto il movimento di solidarietà con la popolazione palestinese del quartiere arabo di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, dove va avanti l’espansione degli insediamenti dei coloni.

Gush Shalom ha fatto appello alla Corte Suprema affermando che la legge è “antidemocratica e incostituzionale”. Una mossa che altre organizzazioni, tra cui ACRI, la Coalizione delle Donne per la Pace, Medici per i diritti umani, il Comitato contro la Tortura e la ONG Adalah sono pronti a seguire.

Il voto alla Knesset rispecchia, secondo un editoriale apparso sul magazine indipendente +972, l’opinione (almeno per ora) del pubblico israeliano; vale a dire che le controversie e i dibattiti rimangono oggetto dei media e di una parte minoritaria dell’opinione pubblica di Israele: lo confermerebbe un sondaggio (da prendere “con le pinze” perché diffuso e commissionato dal canale interno del Parlamentosecondo cui, il 52% degli israeliani sono a favore del provvedimento, solo il 31% vi si oppone. Si avverte però una generale preoccupazione per l’immagine di Israele all’estero tanto che se ne preoccupa il 43% degli intervistati.

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Anche l’Unione Europea ha cautamente e timidamente provato a dire qualcosa sull’approvazione dell ‘”Antiboycott Bill”: pur ribadendo la sovranità della Knesset nell’ambito dei processi legislativi e ribadendo di non sostenere il boicottaggio, Catherine Ashton, ha espresso a nome dei paesi dell’Unione, preoccupazione per “le libertà dei cittadini e delle organizzazioni israeliane”. Quello che non appare nelle dichiarazioni della Ashton, ma che preoccupa le associazioni delle organizzazioni in difesa del diritto internazionale e dei diritti umani è l’idea di fondo per cui la legge proteggerebbe in questo modo le colonie (illegali secondo il diritto internazionale), punendo chi vi si oppone. Anche Burston sulle pagine di Ha’aretz mette in luce come, oltre a minacciare la libertà di espressione politica, considerando il boicottaggio dei prodotti delle colonie un’azione che danneggia lo Stato di Israele, di fatto cancella la differenzazione “legale”tra colonie e il territorio di Israele.

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