Palestina: occupazione in crisi
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Palestina: occupazione in crisi

E' sempre più dipendente da Israele, a causa del forte controllo imposto su importazioni ed esportazioni. Uno studio dell'ONU svela alcuni dati sconfortanti.

Palestina: occupazione in crisi
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2 Settembre 2011 - 09.25


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di Marta Fortunato

Israele impedisce lo sviluppo dell’economia palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Il mercato dei territori palestinesi occupati è fortemente dipendente dallo stato di Israele, il quale assorbe quasi il 90% delle esportazioni palestinesi ed è il principale canale attraverso cui passa più l’80% delle importazioni verso la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Uno studio pubblicato dall’UNCAD (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo) analizza in maniera dettagliata lo sviluppo economico dei territori palestinesi occupati (TPO).

Le forti limitazioni imposte da Israele alle importazioni e alle esportazioni palestinesi provocano un aumento dei prezzi per i consumatori e limitano fortemente le attività economiche dei TPO. I problemi principali sono legati alla restrizioni che ci sono all’interno della Cisgiordania, come ad esempio i posti di blocco, e ai controlli capillari al confine con la Giordania (l’unica frontiera internazionale della Cisgiordania) e ai valichi commerciali tra Cisgiordania, Israele e Gaza.

Una serie infinita di misure di sicurezza rendono il commercio costoso sia in termini di tempo che in termini di denaro: spesso le merci rimangono nei porti israeliani per giorni in attesa della perquisizione e vengono trattenute in magazzini per lungo tempo prima di poter entrare nel circolo dell’economia palestinese. Tutti questi ostacoli alle “importazioni e alle esportazioni aumentano il costo delle transazioni commerciali di quasi il 40%” ha dichiarato ad IRIN (servizio dell’ufficio dell’ONU per gli Affari Umanitari) il vice ministro dell’economia dell’Autorità Palestinese Abdel Hafiz Nofal.

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In pratica se si vogliono esportare delle merci all’estero dalla Cisgiordania è necessario caricarle su un camion palestinese. Tuttavia il camion non può entrare in Israele e così la merce viene scaricata, controllata minuziosamente e posta su un altro mezzo di trasporto, questa volta israeliano. La stessa cosa vale per le importazioni, anche se in questo caso non vengono fatti controlli né perquisizioni.

Un sistema di carico e scarico costosissimo, secondo Arafat Asfour, presidente dell’organizzazione per lo sviluppo del commercio nazionale Paltrade, dovuto principalmente alle restrizioni di accesso e di movimento locali, imposte da Israele. La compagnia Nassar Group che produce marmo di cui Arafat è partner spende più di 1000 dollari per far andare un camion da Betlemme al porto di Haifa, quando invece ne potrebbe spendere la metà se non ci fossero tutte queste restrizioni.

Tuttavia non ci sono altre soluzioni: la via giordana è ancora più lunga e dispendiosa, sempre a causa dei controlli che Israele impone alle merci palestinesi.

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Per le importazioni i problemi sono gli stessi: secondo i dati della Banca di Israele solo il 42% del totale delle importazioni da Israele sono beni prodotti in Israele. Il rimanente 58% proviene da paesi terzi, quindi se le condizioni commerciali fossero normali Israele non avrebbe la totale dominanza che esercita ora sull’economia dei TPO.

Una dominanza economica che si è fatta sentire soprattutto in occasione dell’Eid al-Fitr, i tre giorni di festa dopo il mese sacro di Ramadan. I prezzi dei generi alimentari sono altissimi, il potere d’acquisto delle famiglie molto basso e più del 18% della popolazione della Cisgiordania vive sotto la linea di povertà. Il PIL pro capite in Cisgiordania è pari a 1500 dollari, mentre in Israele raggiunge i 26.000 dollari (dati Banca Mondiale), tuttavia, secondo il Protocollo di Parigi del 1994, i TPO fanno parte della stessa unione doganale di Israele, il quale raccoglie i dazi doganali per conto dell’AP e trasferisce il denaro all’AP ogni mese. Tuttavia chi decide e permette questi trasferimenti di denaro è il ministro delle finanze. Proprio due giorni fa l’attuale ministro Yuval Steinitz aveva rifiutato la richiesta dell’Autorità Palestinese di trasferire 380 milioni di shekel derivanti dalle entrate erariali in modo da permettere all’AP di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici. ・Non vogliamo dare ai palestinesi regali per la festa, in un momento in cui ci stanno sparando missili・ ha dichiarato Stigitz per motivare il suo rifiuto di firmare il trasferimento di denaro.

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