Palestinesi israeliani in lotta per la casa
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Palestinesi israeliani in lotta per la casa

Il problema va oltre il carovita. La discriminazione è istituzionale. Ma c´è chi, lontano dal mainstream degli indignados, comincia a riconoscere che il nemico è comune.

Palestinesi israeliani in lotta per la casa
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6 Settembre 2011 - 09.08


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di Ika Dano

Diritto alla casa. E´questo il fulcro delle proteste che da mesi ormai portano in strada centinaia di migliaia di israeliani. Il costo degli immobili è aumentato, e la classe media inizia a faticare a comprare un’abitazione. Ma se l’emblema degli indignados israeliani sembra essere piuttosto la giovane coppia che – pur lavorando – non si puó più permettere un mutuo con disinvoltura, altra è la realtá dei ceti più marginalizzati in Israele. Palestinesi israeliani innanzitutto, ma anche ebrei israeliani di terza classe. Gli uni discriminati dalla legge stessa, gli altri dalle politiche neo-liberiste che hanno avuto la meglio sullo stato sociale.

Oltre il carovita. I problemi veri sono iniziati molto prima della svolta liberista del governo israeliano: con la creazione dello stato di Israele nel 1948, gran parte della terra prima sotto mandato britannico è stata nazionalizzata. Due anni dopo la Knesset adottava la legge 20 sulla “proprietà degli assenti”, che deliberava espressamente la nazionalizzazione della proprietà dei rifugiati palestinesi che, temporaneamente, avevano abbandonato la propria casa in fuga dalla guerra. Nel 1960, la nuova “Amministrazione del territorio israeliano” (ILA) veniva incaricata di dare in locazione abitazioni e terreni, un diritto ereditabile di generazione in generazione. Ma non per tutti.


Tornano gli ottomani.
A completare questo caleidoscopio legale, contro i Palestinesi a Jaffa come a Gerusalemme, viene applicata ad hoc la legislatura ottomana, che garantisce l’ereditarietà del diritto alla locazione solo fino alla seconda generazione rispetto a quella che aveva stipulato un contratto con lo Stato. La terza generazione si ritrova ora senza alcun pezzo di carta in mano per rivendicare i propri diritti. Secondo le statistiche ufficiali, nel 1997 il 79.5% della terra era sotto il controllo dell’ “Amministrazione del territorio israeliano” (ILA), il 14% di proprietà del Fondo Ebraico Nazionale, istituito dal quinto congresso sionista del 1901, e solo il 6.5% in mano a privati.

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Sfratti a go go.
Nell’ultimo decennio, la crescente privatizzazione di terreni e case per lucrosi investimenti ha dato il via libera a sfratti arbitrari in grande stile. Sono 1500 famiglie sfrattate ogni anno, secondo l’Associazione per i Diritti Civili in Israele (ACRI). Le case vengono sgomberate e affittate a non-arabi. In zone particolarmente interessanti per investimenti, vengono restaurate a puntino o invece distrutte per lasciare spazio a nuovi progetti. Gli abitanti senza tetto si trasferiscono altrove, quando possono. O trovano rifugio in casa di parenti. Quando non c´è nessuno che possa accoglierli, il tentativo di trovare altre soluzioni si fa più disperato.


Spaccati di vita.
Ramleh, una delle sei città miste arabo-israliane in Israele. “Siamo una famiglia originaria della vicina città di Led – racconta Yasmine Al-Aju – e siamo fuggiti nel ’48. Solo una parte della famiglia ce l’ha fatta ad arrivare in Giordania, mentre noi siamo ritornati nelle nostre terre e ci siamo stabiliti a Ramleh. Viviamo qui dal 1959, definiti “illegali”, perchè la casa é a nome di un’altra famiglia. Abbiamo provato ripetutamente a chiedere l’ufficializzazione della nostra residenza, ma ci è sempre stata rifiutata” continua Yasmine al centro del cortile dove è stata allestita la protesta per resistere allo sfratto. “Quando sei mesi fa ci è arrivata la prima ingiunzione di sfratto, ci hanno dato 24 ore per sgomberare tutto e andarcene. Soldati e un documento firmato Amidar. Ci siamo dovuti mobilitare, siamo 60 individui, dove saremmo potuti andare altrimenti? Nessuno ci avrebbe potuto ospitare”.

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Leggi dispari.
Il ricorso in tribunale – presentato da associazioni volontarie che offrono assistenza legale – ha congelato l’ingiunzione per alcuni mesi. Ma otto settimane dopo, ecco la seconda ingiunzione, valida per 30 giorni, durante i quali l’esercito sarebbe potuto sopraggiungere e con un’azione degna di un’operazione militare sgomberare tutti con la forza. La famiglia chiede aiuto al Comitato Popolare di Ramleh e si organizza. Insieme al Movimento di Solidarietà Sheikh Jarrah e al Movimento politico israelo-palestinese Tarabut, mettono in piedi un presidio di un centinaio di attivisti palestinesi, israeliani e internazionali che per 24 giorni e notti fanno da guardia alla casa. Lo sfratto viene congelato ancora una volta. Una vittoria temporanea, ma un trionfo per la famiglia Aju, scampata alla strada.

I più deboli, siano ebrei o arabi. Ma non è solo per solidarietà che alcuni israeliani si uniscono a simili azioni di resistenza. In realtà isolate c´è chi ha fatto il primo passo: oltre al razzismo istituzionalizzato contro i Palestinesi cittadini di Israele, le politiche discriminatorie e la privatizzazione colpiscono le fasce più vulnerabili, ebraiche o arabe che siano. “Ci siamo organizzati con tende in piazza per dire no alle discriminazioni e chiedere uguali diritti per tutti, arabi ed ebrei”, racconta Yael del comitato popolare di Jaffa. “A Jaffa nel 1947 abitavano 120 000 palestinesi, ora sono 20 000 – spiega Yael, lei stessa israeliana – In un recente processo contro un ordine di sfratto sono rimasta allibita quando il rappresentante legale dell’agenzia Amidar ha dichiarato apertamente che il proposito degli sfratti era ripulire Jaffa dai palestinesi israeliani, e farli sloggiare in altre cittá periferiche, Led o Ramleh.

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Oltre gli “indignados”. Ma gli investimenti privati colpiscono anche le famiglie ebree più povere, e c´è chi incomincia a capire che il nemico è comune”. Ricerche dell’Associazione per i Diritti Civili in Israele riportano di 50 000 bambini in Israele – non unicamente arabi – non registrati in alcuna scuola, perché fanno una vita da senza tetto, di casa in casa, di scuola in scuola. A parte alcuni esempi isolati, come la “Tenda 48”, un’iniziativa congiunta di arabi ed israeliani che chiedono la fine delle politiche discriminatorie, per gli indignados di Israele questo sembra essere un problema secondario

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