Riconoscimento dello Stato palestinese, e poi?
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Riconoscimento dello Stato palestinese, e poi?

L’Anp non ha intenzione di ritirare la richiesta congiunta all’Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza Onu. Ma le conseguenze dell’eventuale riconoscimento sono oscure.

Riconoscimento dello Stato palestinese, e poi?
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13 Settembre 2011 - 16.51


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Il 23 settembre l’Autorità palestinese presenterà ufficialmente domanda per il riconoscimento dello Stato palestinese all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Poco si sa del contenuto del discorso del presidente Abu Mazen, tenuto segreto per “motivi di sicurezza”. Sicuro è il voto negativo di Israele, Stati Uniti e dei loro minuscoli alleati nel Pacifico. Ma l’approvazione di due terzi dei 193 stati membri sarebbe sufficiente al riconoscimento della Palestina entro le frontiere del 1967 come “osservatore permanente di stato non membro”. Oggi stesso, il deputato Fatah e membro dell’OLP Mohammed Shtayyeh ha ribadito che non si desisterà dal doppio piano di azione: contemporaneamente verrà presentata domanda anche al Consiglio di Sicurezza, dove il solo veto USA basterebbe a far cadere l’iniziativa.


L’occupazione militare dei Territori palestinesi ha creato una realtà
indiscutibile di 500 000 coloni, più di 500 checkpoints militari, un muro di separazione lungo 760 km, quasi il doppio di quella che dovrebbe essere la frontiera della Palestina, la Linea Verde dell’armistizio del 1949. I Territori palestinesi non hanno accesso ai Paesi confinanti e neppure controllo delle proprie risorse naturali e finanziarie. Solo negli ultimi mesi, gli impiegati pubblici si sono visti versare solo metà dello stipendio dall’Autorità palestinese, trattenuto al cinquanta per cento sui conti di Israele. Difficile credere che il mero cambiamento di nome da Territori a Stato palestinese possa implicare un cambiamento radicale della realtà.

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“La questione non è se lo Stato palestinese verrà riconosciuto o meno.
Ció che conta è capire con quale fine e con quale strategia si andrà alle Nazioni Unite” dichiara Nassar Ibrahim, scrittore e ricercatore palestinese. “L’iniziativa di settembre sarebbe dovuta essere il risultato di una riflessione politica e di valutazione del fallimento del processo di pace iniziato con Oslo venti anni fa – continua Ibrahim – Se la scelta di rivolgersi all’ONU, chiedendo l’applicazione delle tante risoluzioni cadute nel nulla, significa uscire una volta per tutte dalla trappola dei negoziati, puó essere un nuovo inizio. Altrimenti rimarrà l’ultima carta da giocare per la leadership in crisi”.


Gli fanno eco diversi esponenti della società civile
, sinora all’oscuro della strategia politica dell’Autorità. Insieme ai partiti della sinistra palestinese, al movimento israelo-palestinese Tarabut e al partito comunista israeliano, hanno firmato una dichiarazione di supporto all’iniziativa, a condizione che questo passo non vada a toccare quelle che sembrano essere i punti cardinali della causa palestinese: che la rappresentanza nelle istituzioni internazionali rimanga all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) – in cui siedono tutti i partiti politici – e non all’Autorità Palestinese – attuale governo in carica senza legittimazione democratica dal 2010. E che il diritto al ritorno dei sei milioni di rifugiati palestinesi – dichiarato dalla risoluzione ONU 194 – rimanga inalienabile.

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Da quando l’iniziativa si Settembre è stata annunciata
, il dibattito legale sulle implicazioni di un eventuale riconoscimento della Palestina è dilagato. L’ex consigliere di Arafat, Francis A.Boyle, già impegnato nella dichiarazione di indipendenza della Palestina del 15 novembre 1988, assicura che l’OLP non verrebbe deligittimato e continuerebbe a rappresentare tutti i “cittadini palestinesi”, che siano rifugiati all’estero, residenti dei Territori Occupati o facciano parte del 20% di attuali cittadini di Israele. Il diritto al ritorno alle proprie case, siano queste nello Stato palestinese o israliano, non verrebbe annullato. Altri pareri legali, tra cui quello dell’avvocato Guy Goodwin-Gill di Oxford, mettono in guardia dalle consequenze catastrofiche che un’eventuale Stato palestinese avrebbe, liquidando la questione dei rifugiati e dell’OLP.


Aldilà dei tecnicismi legali
, l’eventuale nuovo Stato palestinese sarà confrontato con lo stesso problema: quello della fine dell’occupazione militare che lo rende, comunque, uno Stato non sovrano.


Ai tanti disillusi
, prima di tutto tra la popolazione palestinese che sembra aspettare più che altro con uno stanco sorriso i risultati di questa nuova iniziativa fatta più di dichiarazioni e comma che non di cambiamenti concreti, viene in aiuto lo storico israeliano Ilan Pappé. All’eventuale riconoscimento dello Stato palestinese potrebbe seguire una reazione violenta da parte palestinese, frutto dell’ennesima delusione di fronte alla realtà immutata dei fatti. Oppure l’inizio della fine dell’ideologia sionista alla base dello Stato di Israele, che – ora più che mai – dovrà accorgersi della connessione tra le tensioni interne e l’occupazione militare. Pappé conclude: “Alle Nazioni Unite assisteremo al funerale della soluzione dei due stati”.

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