Stato di Palestina, Israele fa le prove generali
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Stato di Palestina, Israele fa le prove generali

Ad una settimana dalla domanda di adesione della Palestina all’Onu, dopo il discorso di ieri di Abu Mazen le autorità israeliane testano le contromisure punitive.

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17 Settembre 2011 - 16.29


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di Emma Mancini

Centinaia di automobili hanno oggi atteso per ore di attraversare il checkpoint di Qalandiya, tra Ramallah e Gerusalemme, e il “container” checkpoint che divide Betlemme da Gerusalemme. Due blocchi, a Sud e al centro, la cui chiusura spezza ulteriormente la continuità del territorio palestinese e intensifica restrizioni al movimento dei residenti della Cisgiordania.

Secondo testimoni, centinai di veicoli, soprattutto taxi, sono stati costretti ad attendere per delle ore di entrare in Israele. Molti i lavoratori che sono arrivati tardi sul posto di lavoro, visto che i due checkpoint sono le uniche vie d’accesso possibili verso Gerusalemme e quindi lo Stato di Israele. A Qalandiya, l’esercito israeliano ha utilizzato blocchi di cemento per impedire il passaggio del traffico.

Insomma, prove generali in vista del 23 settembre, che seguono ad altre misure prese dalle autorità israeliane e volte a soffocare sul nascere eventuali manifestazioni e marce palestinesi dopo il discorso che il presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, terrà di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Nelle scorse settimane, l’esercito è stato impegnato nell’addestramento dei coloni, dotati di gas lacrimogeni e bombe sonore per disperdere gruppi di palestinesi che temono possano avvicinarsi agli insediamenti in Cisgiordania. Inoltre, fonti militari hanno annunciato che le colonie saranno circondate e protette dai militari.

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La radio pubblica israeliana ha inoltre riportato la notizia che tre battaglioni di riservisti (circa 1500 soldati) sono stati mobilitati e messi in allerta, pronti ad intervenire nel caso di necessità. A preoccupare di più è proprio la reazione che Tel Aviv sta preparando, quando da parte palestinese sembra che la situazione sia calma, tra l’attesa e la disillusione. I palestinesi non sembrano affatto convinti che una simile iniziativa possa concretamente portare a qualche cambiamento sul terreno, confusi dall’atteggiamento che l’Autorità Palestinese ha mostrato in questi mesi.

Soltanto ieri Abu Mazen, dal suo quartier generale a Ramallah, ha parlato al popolo di Palestina in un messaggio televisivo, spiegando che il 23 settembre, esattamente tra una settimana, si presenterà all’Assemblea Generale per il discorso ufficiale e subito dopo invierà direttamente al Consiglio di Sicurezza la richiesta di adesione all’Onu come Stato membro.

Insomma, la debole e traballante Autorità Palestinese si vuole giocare il tutto per tutto: “È un nostro legittimo diritto – ha detto ieri Abu Mazen – quello di chiedere l’adesione completa dello Stato di Palestina alle Nazioni Unite, per mettere fine ad un’ingiustizia storica attraverso l’ottenimento di libertà e indipendenza, come ogni altro popolo sulla terra. Uno Stato palestinese entro i confini del 4 giugno 1967”. Con Gerusalemme Est come capitale.

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Se all’Assemblea i voti positivi dovrebbero superare i 2/3 richiesti dall’ordinamento interno (e quindi portare all’adesione della Palestina come Stato non membro, osservatore permanente), al Consiglio difficilmente la richiesta potrebbe passare: il veto degli Stati Uniti è dato per certo.

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