Omar Barghouthi: stato palestinese, dubbi e implicazioni
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Omar Barghouthi: stato palestinese, dubbi e implicazioni

L’attivista palestinese critico sulla piena adesione all’Onu: dietro la decisione dell’Anp, poca trasparenza.

Omar Barghouthi: stato palestinese, dubbi e implicazioni
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23 Settembre 2011 - 11.08


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Ramallah – “Besiege your siege…there is no other way”. Con le parole del grande poeta palestinese Mahmoud Darwish, Omar Barghouti esordisce alla presentazione del suo ultimo libro (BDS – The global struggle for Palestinian rights, Haymarket Books, Chicago, 2011)[1]. Approfittando di tale evento abbiamo voluto chiedere allo scrittore la sua opinione a proposito dell’iniziativa intrapresa dall’Autorità Nazionale Palestinese di  Mahmoud Abbas per il riconoscimento dello Stato di Palestina presso le Nazioni Unite, prevista il prossimo 23 settembre.

Palestinese, attivista per i diritti umani, largamente noto al pubblico in veste co-fondatore della campagna internazionale BDS per il boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni contro Israele, Omar Barghouti non nasconde le sue preoccupazioni per la creazione di un futuro Stato palestinese. Tuttavia parlando a nome della coalizione BDS, egli afferma che, la presentazione della candidatura presso le UN potrebbe avere l’effetto positivo, per quello che concerne la campagna, di ampliarne l’utenza e amplificarne la eco. Ma a prescindere dal riconoscimento ufficiale dello Stato, le azioni di boicottaggio ai danni di Israele rimarranno invariate con gli stessi obiettivi da raggiungere utilizzando quei mezzi temprati da più di 5 anni di battaglie (la BDS Campaign è stata fondata nel luglio del 2005).

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Detto questo, le opinioni dello scrittore diventano assai più severe, e ci tiene a sottolinearlo, se la domanda è rivolta alla sua persona in quanto palestinese e attivista per i diritti umani. Barghouti afferma infatti senza mezzi termini, che dietro questa decisione dell’ANP c’è una totale mancanza di trasparenza e la principale fonte di preoccupazione è che un ipotetico Stato di Palestina possa sostituire l’OLP, unico rappresentante ufficiale di tutti i palestinesi. Questo metterebbe particolarmente in pericolo la condizione dei rifugiati (e il loro conseguente diritto al ritorno) così come lo status dei palestinesi di Gerusalemme e di quelli residenti nei territori del ’48 (con cittadinanza Israeliana) che si troverebbero ulteriormente indeboliti nella loro lotta per l’eguaglianza di diritti all’interno dello Stato di Israele.  Vero è che Abu Mazen, durante il suo discorso rivolto ai palestinesi prima della partenza per New York, ha riaffermato il ruolo insostituibile dell’OLP ma, si domanda l’autore, ci si può fidare di qualcuno che non è stato democraticamente eletto[2] e che non possiede alcun mandato dal popolo che dovrebbe rappresentare? Inoltre, insiste Barghouti, un’ iniziativa come quella intrapresa dall’ANP non giova alla causa : sarebbe un’ottima mossa politica per rimettere all’ordine del giorno la questione palestinese in un momento di particolare forza dello stato occupante. Ma nell’attuale congiuntura storica Israele appare sempre più isolato e sta  subendo un allarmante picco di popolarità sia nell’opinione pubblica Europea che in quella Nord Americana (oltre che negli stati del “global south”). La lotta andrebbe quindi riaffermata e rafforzata sugli stessi binari sin qui percorsi, con iniziative analoghe alla BDS, con i movimenti di resistenza popolare non violenta (Bili’n, Masara, Nabi Saleh, …) contro il muro e le colonie illegali. Secondo lo scrittore, questa iniziativa, non è altro che una pretesto escogitato dalla leadership palestinese per evitare di fare i conti con le proprie responsabilità dopo 20 anni di fallimenti nel cosiddetto “processo di pace”. Quando il presidente Abu Mazen afferma che tale azione non ha come obiettivo quello di isolare Israele – isolamento che invece si sta diffondendo nella regione in simultaneità con la cosiddetta primavera araba – quale sarebbe dunque la strategia dell’ANP per il riconoscimento dei diritti dei palestinesi? Rilanciare il dialogo per convincere Israele?

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Il percorso fallimentare di 20 anni di “processo di pace” ha dimostrato che non è questa la logica da seguire, ma che è urgente invece isolare Israele sul piano internazionale e costringerlo a retrocedere e a riconoscere al popolo palestinese quei diritti che reclama da più di 60 anni.

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