Beit Jala, una promessa mantenuta
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Beit Jala, una promessa mantenuta

L'ong Palestinian Children’s Relief Fund sta realizzando un’opera coraggiosa: il primo Dipartimento di oncologia pediatrica nei Territori Occupati.

Beit Jala, una promessa mantenuta
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30 Settembre 2011 - 09.26


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di Giorgia Grifoni

Sarà il primo dipartimento di oncologia pediatrica di tutta la Cisgiordania, e anche il primo a impiegare degli assistenti sociali per il sostegno psicologico dei piccoli. Coprirà non solo la West Bank ma, occupazione militare permettendo, riuscirà a tendere la mano anche a Gaza. Quello che sta sorgendo al quarto piano dell’ospedale pubblico di Beit Jala, vicino a Betlemme, non è solo un reparto: è il sogno di Huda al-Masri e Steve Sosebee, fondatori del Palestinian Children’s Relief Fund (PCRF)* che in 20 anni di attività ha aiutato più di 10.000 bambini in Medio Oriente fornendo cibo e cure mediche nella regione o all’estero. Huda non ce l’ha fatta a sconfiggere la leucemia, ma prima di andarsene nel 2009 ha fatto promettere a suo marito Steve di realizzare un reparto di oncologia pediatrica in Cisgiordania. Dal 2010 il PCRF sta raccogliendo donazioni per riuscire a costruire un reparto che si prenda cura nel modo più completo possibile dei bambini malati di cancro: adesso il sogno sta diventando realtà.

“Finora- spiega il dottor Mohamad Najajreh, specialista in oncologia ed ematologia pediatrica- i bambini affetti da tumore hanno avuto due stanze a disposizione in quest’ospedale: una nel reparto di pediatria e una in oncologia. Purtroppo siamo costretti a somministrar loro la chemioterapia in day hospital e mandarli a casa nel pomeriggio: non abbiamo abbastanza spazio”.

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La mancanza di locali non è la sola difficoltà che i bambini devono affrontare ora all’ospedale di Beit Jala. “I reparti di pediatria e oncologia –continua Steve Sosebee- non sono adatti ai bambini con tumori perché non sono ambienti del tutto sterili. I piccoli hanno bisogno di stanze isolate: devono essere separati dalle loro madri e bisogna controllare il trattamento somministrato. C’è troppa confusione, per non parlare dei rischi che comporta un ambiente non sterile”. “Questi bambini – chiarisce il dottor Najajreh- hanno le difese immunitarie bassissime. Possono prendere infezioni dai loro coetanei in pediatria. Anche i continui spostamenti da casa all’ospedale sono rischiosi”.
Steve mostra il cantiere di quello che fra qualche mese diventerà il reparto di oncologia pediatrica. “Ci saranno 5 stanze – indica scavalcando i calcinacci- e ognuna di esse avrà due o tre letti, a seconda dei bisogni. Questa sarà invece la stanza dei medici, e questo un ambulatorio”. Karen, un’infermiera americana di mezza età segue Steve in compagnia di due “donatori” provenienti dagli Stati Uniti: lei stessa fa parte del Palestinian Children’s Relief Fund, e lavora nell’ufficio di San Diego. Le scende una lacrima mentre guarda l’ospedale dall’alto: “Com’è possibile che nel 2011 qui non ci sia ancora un dipartimento di oncologia pediatrica?”.

Nei Territori palestinesi non manca solo questo. Anche se molti ospedali dispongono di medicinali generici e di personale specializzato, le attrezzature e i trattamenti specialistici scarseggiano. Il ministero della sanità dell’Autorità palestinese provvede ai servizi base gratuiti tramite un’assicurazione sanitaria, ma un terzo della popolazione palestinese non se lo può permettere. Per non parlare dei servizi esclusivi offerti da cliniche private a prezzi esorbitanti. Sono gratuiti invece i servizi di ospedali e centri di assistenza sovvenzionati dalle organizzazioni non-governative- come il CPRF- tramite donazioni dall’estero. Ma il problema più grande resta: l’occupazione israeliana e le limitazioni agli spostamenti imposte ai palestinesi. Secondo un rapporto dell’OMS del 2009, nella sola Gerusalemme est si trovano sei ospedali non-profit specializzati –Maqassed, Augusta Victoria, St.Joseph, St. John, Red Crescent e Princess Basma- che fornirebbero il 12% dei posti letto dell’intero sistema sanitario palestinese. L’annessione de facto della porzione orientale della città a Israele rende molto difficile per gli abitanti della Cisgiordania e Gaza recarsi in questi nosocomi pressoché gratuiti: bisogna richiedere un permesso speciale all’Amministrazione Civile Israeliana, aspettare di ricevere l’autorizzazione a entrare in Israele e affrontare lunghi controlli ai check-point, con il rischio di perdere il proprio appuntamento dal medico e ricominciare l’intera trafila. Molti non ottengono neanche il permesso, e devono arrangiarsi con quel che è disponibile nei Territori occupati. A Gaza, isolata dal mondo come dal resto della Palestina, spesso non entrano i medicinali a causa del blocco israeliano: figurarsi tentare di trattare una leucemia linfoblastica acuta.

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Molti ospedali palestinesi riescono a mandare i pazienti affetti da patologie complicate in Israele, Giordania ed Egitto, e grazie alle organizzazioni non governative a volte riescono perfino ad arrivare in Europa e negli Stati Uniti. “Il ministero manda i pazienti all’estero- racconta Steve – in cura presso strutture private, con dei costi esorbitanti: sono soldi che vanno al di fuori del paese, quindi vanno perduti e qui nulla cambia”.

“Mancava tutto, persino un laboratorio dove effettuare l’esame emocromocitometrico- conclude il dottor Najajreh- ed eravamo costretti a mandare i campioni all’ospedale Hadassah di Gerusalemme o in Giordania per farli analizzare: 800 dollari a esame. Ma in questo reparto ne avremo uno, e potremo servire anche gli altri ospedali della Cisgiordania”. Un esempio positivo e coraggioso, barlume di speranza nell’incertezza sanitaria palestinese.

*Il Palestine Children’s Relief Fund é un’organizzazione internazionale umanitaria indipendente – senza legami con Stati, governi ed organizzazioni politiche – che ha aiutato oltre 1000 bambini malati e feriti provenienti da paesi del Medio Oriente ad essere curati gratuitamente in Nord America, Europa e nel Golfo: cure che non sarebbero state possibili nei loro paesi. Aiutaci a dare un aiuto concreto ai bambini palestinesi gravemente ammalati.

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