Palestina, lo stato si fa allo stadio
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Palestina, lo stato si fa allo stadio

Intervista a Jibril Rajoub, presidente della Federazione Calcio Palestinese: “La nostra nazionale è una macchina diplomatica”.

Jibril Rajoub, presidente della Palestinian Football Federation
Jibril Rajoub, presidente della Palestinian Football Federation
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3 Ottobre 2011 - 10.16


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di Emma Mancini

“La politica è un gioco, esattamente come il calcio”. La massima attribuita a Jibril Rajoub gli si addice a pennello. Da dietro la sua scrivania, circondato da riconoscimenti e fotografie, il presidente della Federazione Calcio Palestinese e del Comitato Olimpico di Palestina appare per quello che è, politico navigato messo al timone di un nuovo e originale strumento di potere e pressione: il pallone.

Capo del Servizio di Sicurezza Preventiva, l’apparato ufficiale di sicurezza dell’Autorità Palestinese, fino al 2002, Rajoub è membro di Fatah all’interno del Comitato Centrale del partito. Lo incontriamo nel suo ufficio di Ramallah.

Qual è il significato che si può attribuire ad una nazionale di calcio senza uno Stato? Quello palestinese è l’unico team tra i 208 membri della Fifa a trovarsi in una simile condizione.

Lo sport è il linguaggio più importante e conosciuto del mondo. Non importa se uno Stato ancora non c’è: non è la nazionale a dover aspettare lo Stato, è il futuro Stato a chiedere l’aiuto della nazionale. Perché la squadra è una macchina diplomatica. Come Federazione e Ap, lavoriamo a tre livelli. Primo, costruire uno Stato sul terreno, attraverso istituzioni concrete che naturalmente comprendono anche quelle sportive. Secondo, lavorare sulla comunità internazionale perché riconosca l’esistenza del popolo palestinese e i suoi diritti di autodeterminazione. Terzo, promuovere la lotta nonviolenta contro l’occupazione israeliana. A tutti e tre i livelli, lo sport può rivestire un ruolo fondamentale e lo sta già facendo.

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In che modo una nazionale di calcio è in grado di farlo?

Per quanto riguarda il primo livello, quello istituzionale, abbiamo stretto rapporti seri e duraturi con comitati e federazioni sportive in tutto il mondo. Un esempio: questa settimana un gruppo di allenatori italiani sarà in Palestina per sponsorizzare il nostro calcio: la Figc li ha mandati a tenere delle lezioni e a novembre ci hanno invitati per un’amichevole in Italia.

Il secondo livello è quello della comunità internazionale. Quando una nazionale straniera arriva qua per giocare, apre gli occhi del proprio Paese sulla realtà quotidiana vissuta nei Territori Occupati: le restrizioni, il Muro, i checkpoint, l’occupazione. Con una partita di calcio, si può sensibilizzare un altro Paese.

Che tipo di restrizioni i giocatori della nazionale sono costretti a subire da parte delle autorità israeliane? si tratta di restrizioni che danneggiano la squadra?

Certo, ogni volta non sappiamo se la nazionale sarà al completo. Un esempio: qualche tempo fa, al ritorno da un torneo in Sudan il nostro portiere, di Gaza, è stato bloccato alla frontiera e non è stato fatto rientrare. Ha dovuto passare tre mesi ad Amman, in Giordania. Questo è solo un esempio. Ci sono due modi con cui le autorità israeliane colpiscono e danneggiano il calcio palestinese: a livello della nazionale, attraverso le restrizioni al movimento, sia dentro che fuori i Territori Occupati. E poi a livello più generale: ogni società sportiva, dalla più grande alla più piccola, subisce seri danni a causa della mancanza di infrastrutture sportive e di attrezzature che difficilmente riescono ad entrare in Cisgiordania e a Gaza perché sotto lo stretto controllo israeliano, delle difficoltà a reperire esperti esterni provenienti da altri Paesi, o addirittura dalla Fifa, e bloccati ai confini da Israele.

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La nazionale di calcio palestinese prima di un match

A tal proposito, qual è il ruolo della Fifa nel sostenere il calcio palestinese?

La Fifa ha sempre supportato lo sport in Palestina. Il presidente Blatter ci ha fatto visita tre volte. Come organizzazione, hanno avviato numerosi progetti in Palestina. In questo momento ne sono attivi quattro, tra cui la creazione di un’accademia dello sport e la costruzione di un quartier generale per la Federazione Calcio. Inoltre, arrivano spesso loro allenatori internazionali per il training delle nostre nuove leve: ad esempio, in questo momento un’allenatrice Fifa sta facendo lezione ad un gruppo di 24 giovani allenatrici che lavorano in società sportive per bambini.

E l’Autorità Palestinese? Qual è il ruolo esercitato dal governo di Ramallah nel sostenere il calcio palestinese?

La parola “ruolo” è esagerata. Non ha un ruolo. Diciamo che il governo sostiene la Federazione e la squadra nazionale attraverso decisioni politiche del primo ministro Fayyad e del presidente Abbas. Danno pieno supporto, sia al calcio femminile che a quello maschile.

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E naturalmente investono denaro: si è passati da un budget di 870mila dollari l’anno a quota 6 milioni. O i soldi per il nuovo stadio nazionale di Ramallah (inaugurato il 26 ottobre 2008 e stadio di casa della squadra di Gerusalemme Hilal Al-Quds e quella di Ramallah Al Ama’ri, ndr).

Sì, investono soldi nella Federazione, contribuiscono.

Dopo l’uscita dalle qualificazioni per i Mondiali di Brasile 2014, quali sono i prossimi impegni per la nazionale di calcio?

Siamo usciti dalle qualificazioni per le Olimpiadi, perdendo con il Bahrein, e poi da quelle per i Mondiali del 2014, pareggiando con la Tailandia. Il prossimo impegno è in arrivo il 18 ottobre ad Hebron: la nazionale femminile ospiterà il Giappone, vincitore della Coppa del Mondo in Germania a luglio.

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