Armi italiane alla Libia, storia segreta/1
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Armi italiane alla Libia, storia segreta/1

Dopo le rivelazioni di Globalist. Armi provenienti da altre guerre che andavano distrutte, e la stupidità degli “spedizionieri”.

Armi italiane alla Libia, storia segreta/1
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27 Ottobre 2011 - 08.45


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di Sergio Finardi*

Quello splendido maggio. I quattro autoarticolati del Genio dell’Esercito procedono lentamente sul lungomare che sull’isola della Maddalena si snoda – tra ristoranti e caffè – dal piazzale della Capitaneria di Porto all’imbarco dei traghetti commerciali che fanno la spola tra l’isola e il porto di Palau (Olbia-Pausania). I pesanti mezzi trasportano ciascuno un container marittimo militare da 40 piedi, cassoni di considerevoli dimensioni (circa 12 metri di lunghezza e 2,8 di altezza con una capacità di carico sino a 26 tonnellate). È il 19 di maggio scorso, abitanti e turisti osservano il passaggio del convoglio, probabilmente non troppo usuale nemmeno per un’isola in cui i militari sono di casa. Alla Maddalena i quattro container erano giunti nel tardo pomeriggio del 18 maggio dalla vicina isola-bunker di Santo Stefano, su una nave da carico militare che li aveva depositati nei piazzali di fronte alla Capitaneria.

Il bunker di Santo Stefano. In quei containers, si apprenderà poi, sono stipate parte delle armi di un colossale arsenale di missili, razzi, munizioni e fucili mitragliatori sequestrato 17 anni fa (1994) su una nave, la Jadran Express, di trafficanti internazionali bloccata nel canale di Otranto nelle operazioni contro le violazioni dell’embargo ONU sull’ex-Yugoslavia. Le armi erano state inizialmente stoccate nel porto di Taranto e nell’agosto del 1999 rimesse sotto sequestro dalla Divisione Investigativa Antimafia per il processo che nel 2001 sarebbe iniziato a Torino. L’arsenale era poi stato stivato nell’isola-bunker (tuttora servitù militare) di Santo Stefano dove, in località Caverna di Guardia del Moro, partono le gallerie che, nelle viscere dell’isola, servono da deposito di armi e munizioni della Marina italiana, dopo aver servito “in concessione” la Navy statunitense e i suoi sommergibili (e missili) nucleari del1972 al 2008.

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Misure sbagliate. Giunti all’imbarco commerciale, gli autoarticolati del Genio sarebbero dovuti salire su un traghetto, diretto a Palau, della Delcomar, società di proprietà di un imprenditore locale. Ma non ci riescono perché, nonostante l’operazione sia stata preparata da tempo e forse stata preceduta da altre dello stesso genere, solo all’imbarco i genieri dell’Esercito si accorgono che gli automezzi con i container superano l’altezza del ponte di carico dei traghetti Delcomar in servizio sulla tratta Maddalena-Palau (Erik P. ed Enzo D.). Tutto da rifare. Forse accompagnati da qualche sorriso ironico dei marinai locali, i genieri decidono allora di caricare autoarticolati e containers su un più spazioso ferry della Seremar. L’ “Isola di Caprera”, che ha una capacità di carico di 430 tonnellate e un ponte di altezza idonea. Il ferry lascia finalmente l’isola alle 18 del 19 maggio per Palau.

Verso il continente. Da Palau, gli automezzi proseguono via terra per il porto di Olbia, dove li attende un altro ferry, carico di passeggeri e diretto a Civitavecchia. In servizio da Olbia a Civitavecchia vi sono di routine due ferry gemelli della Tirrenia, lo Sharden e il Nuraghes. Gli automezzi si imbarcano sul “Nuraghes” e giungono a Civitavecchia nella prima mattinata del 20 di maggio. A Civitavecchia gli autoarticolati partono per destinazioni che non sono ancora note, nonostante l’inchiesta fatta partire, poco dopo le denunce di stampa dei primi di giugno, dalla Procura di Pausania (e in particolare dal sostituto procuratore Riccardo Rossi), poi parzialmente ed inopinatamente ostacolata dal Governo che ha opposto l’unico segreto di Stato del 2011 sulla destinazione di quei carichi.

Manca il destinatario. La destinazione reale delle armi è certamente importante. Applicare il segreto di Stato sulla questione in un periodo in cui il governo italiano è impegnato in interventi militari, in Libia ed Afghanistan in particolare, avvolge di mistero la spedizione e dà adito all’ipotesi che la spedizione abbia qualcosa a che fare con quelle operazioni. Tuttavia, ancora più importante è l’elemento del trasporto su mezzi civili e passeggeri di quelle armi. Secondo l’inchiesta de La Nuova Sardegna i documenti di trasporto del carico -preparati da una società logistica di Reggio Emilia- recavano una falsa descrizione del carico (“Motori”). Che fosse falsa lo confermano le dichiarazioni delle stesse autorità militari (Marisardegna): “Nei mezzi impiegati per il trasporto non ha viaggiato alcun tipo di esplosivo. Tutte le armi erano state rese inerti già prima della partenza”. Ma non erano “motori”?

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Passeggeri e armi. Stando a quanto si è saputo sugli interrogatori effettuati nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria , i capitani dei due ferry, l’Isola di Caprera e il Nuraghes, non erano stati avvertiti – procedura illegale – che i “motori” delle bolle di accompagnamento del carico erano in realtà armi e munizioni. La Marina militare italiana -che forniva l’appoggio logistico al Genio per l’operazione- dichiarerà in seguito che i containers trasportavano 5 tonnellate di armi ciascuno, pur avendo, come visto, una capacità molto maggiore. Le ragioni di tale “spreco” non sono note, ma potrebbero essere collegate al tipo di imballaggi di sicurezza e quindi agli ingombri volumetrici effettivi. Le cosiddette merci pericolose, esplosivi per esempio, vengono di norma trasportate infatti con imballaggi speciali ed è vietato movimentarle su mezzi di trasporto passeggeri. Le armi prive di munizionamento o esplosivo viaggiano invece regolarmente su mezzi passeggeri, in quanto “non pericolose”.

Utili armi fantasma. Quelle armi avrebbero dovuto essere distrutte da tempo in virtù di un ordine della magistratura del 2006, ordine che governi e ministri di centro-sinistra e di centro-destra hanno bellamente ignorato. Un decreto legge “ad hoc” del 2009 – che avrebbe dovuto giustificare post factum la mancata distruzione e dare al governo la facoltà di appropriarsi di armi sottoposte a sequestro giudiziario – non venne mai trasformato in legge ed è quindi in seguito decaduto. Altre considerazioni: a) Descrivere in modo fuorviante il carico sui documenti di trasporto è un reato; b) Quelle armi non erano nella disponibilità legale del Governo e avrebbero dovuto essere distrutte anni prima: la mancata distruzione si configura come una violazione delle prerogative della magistratura.

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Tentazioni terroristiche. Ancora. Punto c) Se il carico era composto di materiale non pericoloso, perché descriverlo in modo fuorviante quando materiale militare privo di munizionamento viaggia regolarmente su mezzi civili che trasportano passeggeri? d) Anche se il carico non era composto da materiale pericoloso – è quanto afferma la Marina – nondimeno era composto di armamento e la sua pericolosità intrinseca risiede in un semplice fatto: servizi segreti o gruppi armati di altri Paesi avrebbero potuto cercare di “fermare” la spedizione una volta appresa una destinazione “non gradita” delle armi. La vicenda dell’aereo abbattuto sui cieli di Ustica tanti anni fa dovrebbe dire qualcosa, anche se in quel caso non si trattava di armi, ma probabilmente di persone da “fermare”.

*Direttore del centro internazionale di ricerca TransArms (Chicago, Usa). Il centro si occupa in particolare di logistica del commercio e traffico di armamenti.

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