«Voglio augurare il benvenuto alla Palestina nell’Unesco». Irina Bokova direttrice generale dell’agenzia dell’Onu per la cultura, la scienza e l’istruzione ha salutato così l’ingresso a pieno titolo della Palestina votato ieri dalla Conferenza generale dell’Unesco. Poche parole ma dense di significato mentre dai Territori occupati palestinesi rimbalzavano le dichiarazioni del presidente palestinese Abu Mazen. «L’ammissione della Palestina all’Unesco è una vittoria del diritto, della giustizia e della libertà», ha detto perentorio Abu Mazen. Soddisfazione anche da parte del movimento islamico Hamas.
Certo, è un successo importante ma simbolico, come lo sarebbe l’eventuale accettazione dello Stato di Palestina alle Nazioni unite, in discussione al Consiglio di sicurezza dove incombe il veto degli Stati uniti. Sul terreno, in Cisgiordania, Gaza e a Gerusalemme Est ci sono sempre le colonie israeliane e l’occupazione militare. Ma dal punto di vista politico il voto di ieri conferma che gran parte della comunità internazionale vuole che i palestinesi siano liberi in un loro stato sovrano. Ormai solo una minoranza, capeggiata dagli Stati uniti, nega questo diritto sacrosanto, o meglio, lo prevede ma solo a certe condizioni, quelle che detta l’occupante.
Di questa minoranza che segue come un gregge l’unica superpotenza, fa parte anche l’Italia. Il governo Berlusconi ha nuovamente balbettato in sede internazionale, schiacciato tra la sua alleanza incondizionata a Israele e la necessità di non rimanere isolata in Europa sulla questione palestinese.
L’Italia si è astenuta, come aveva fatto il 5 ottobre nel primo voto favorevole alla Palestina giunto Consiglio esecutivo dell’Unesco. «L’Italia si è attivata per giungere a una posizione coesa e unita dell’Ue, in mancanza della quale abbiamo deciso di astenerci», ha provato a spiegare Maurizio Massari, portavoce della Farnesina.
Ma la posizione del governo di Roma si sta facendo insostenibile in questa parte del Medio Oriente. «Avremmo auspicato che l’Italia votasse a favore dell’adesione della Palestina, visti i legami privilegiati tra italiani e palestinesi», ha commentato il ministro degli esteri dell’Anp, Riyad al-Maliki. «L’Italia è uno Stato importante, che ci ha sempre aiutato nel campo delle finanze e dell’educazione. Ma oggi non capiamo la posizione dell’Italia. Speriamo che in futuro ci sostenga», ha aggiunto da parte sua Yahya Yakhief, membro della delegazione palestinese a Parigi. «Grazie alla Francia, abbiamo apprezzato molto il gesto del presidente Nicolas Sarkozy», ha concluso Yakhief polemizzando indirettamente con Berlusconi.
Per l’Olp e l’Anp l’ammissione all’Unesco rappresenta «un momento storico che restituisce alla Palestina alcuni dei suoi diritti». Al Malki ha spiegato che «Ora che è un paese membro, (la Palestina) farà tutto il possibile perché l’Unesco possa riuscire nella sua missione». Si è trattato, ha aggiunto la storica «portavoce» palestinese Hanan Ashrawi, di «un trionfo dello spirito umano di fronte alle intimidazioni». «È molto importante – ha proseguito – perchè manda il chiaro messaggio che nel mondo vi è una maggioranza di Paesi che non vogliono rendere vittime i palestinesi ed escluderli dalla comunità delle Nazioni. La minoranza che ha votato contro, in particolare gli Stati uniti, si troverà isolata dalla parte sbagliata».
Non è facile prevedere quanto avrà di concreto questa «vittoria» palestinese ottenuta contro l’opposizione di Israele e Stati uniti. Certo è che si tratta di un successo diplomatico di non poco conto, che accresce lo status palestinese a livello internazionale, ma che, è bene precisare, non porterà all’accoglimento automatico della richiesta palestinese di piena adesione del loro Stato alle Nazioni unite. Anzi, il veto degli Stati uniti al Consiglio di sicurezza ora sarà qualcosa di più di una minaccia.
L’ingresso nell’Unesco – «prematuro» e pericoloso «per l’obiettivo condiviso di una pace comprensiva, giusta e duratura in Medio Oriente», l’ha definito Jay Carney, portavoce di Barack Obama – consente ai palestinesi di poter rispondere alla decisione unilaterale del governo Netanyahu di dichiarare (un anno fa) «monumenti del patrimonio storico israeliano» due siti – la Grotta dei Patriarchi di Hebron e la Tomba di Rachele di Betlemme -, entrambi nella Cisgiordania occupata. Decisione criticata all’epoca anche da una parte della comunità internazionale.
Ora i palestinesi potranno richiedere la registrazione di quei siti che Israele vorrebbe annettersi. Anche per questo Washington, Tel Aviv e una parte dell’Europa (Germania in testa) si erano impegnati in un pressing diplomatico per persuadere i palestinesi ad accontentarsi di uno status di livello inferiore a quello di membro a tutti gli effetti, come l’adesione solo a tre convenzioni dell’Unesco. Ma i rappresentanti palestinesi sono stati irremovibili.
Forte la rabbia israeliana. Tel Aviv ha dalla sua parte Usa e alcuni paesi Europei ma sente che gran parte della comunità internazionale vuole la libertà per i palestinesi. E le pressioni in quella direzione aumenteranno. «Israele rifiuta la decisione dell’Assemblea generale dell’Unesco» che ha accettato «la Palestina come stato membro dell’organizzazione», ha scritto in un comunicato il ministero degli esteri israeliano. Poi è intervenuto lo stesso premier Netanyahu. «Non ce ne staremo seduti con le braccia conserte verso queste mosse che danneggiano Israele», ha avvertito.
Ma le prime immediate conseguenze del voto di ieri le soffrirà proprio l’Unesco. Gli Stati Uniti taglieranno i 70 milioni di dollari che versano ogni anno all’agenzia dell’Onu anche perché una legge americana prevede il blocco dei finanziamenti a qualsiasi agenzia dell’Onu che accetti la piena adesione delle autorità palestinesi. Anche Israele congelerà il suo contributo.
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