Ai palestinesi vietata anche l'energia solare
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Ai palestinesi vietata anche l'energia solare

Un mese fa l'ordine di demolizione. Ora a Imneizil vivono con il timore di venire privati dell'unica fonte di energia elettrica ed idrica a loro disposizione.

Ai palestinesi vietata anche l'energia solare
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18 Novembre 2011 - 16.14


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di Marta Fortunato

Presto le luci di Imneizil potrebbero spegnersi. I pannelli solari che forniscono l’energia per l’impianto elettrico ed idrico di questo piccolo villaggio nel sud della Cisgiordania potrebbero essere demoliti dalle autorità israeliane.

Il mese scorso l’esercito israeliano ha emesso un ordine di demolizione affermando che queste strutture erano state costruite senza alcun permesso. Ed ora le 34 famiglie di Imneizil vivono col timore di venir privati di acqua e luce.

“Siamo sospesi tra la terra e il cielo; i pannelli solari erano un barlume di speranza per noi” ha raccontato preoccupato il capo del villaggio Mohammed Ihrizat all’Agenzia France Press (AFP) – siamo qui dal 1948 e non abbiamo un altro posto dove andare”.

Si tratta di un progetto iniziato due anni fa dall’Ong SEBA assieme all’Università Al-Najah di Nablus, volto a sostituire i vecchi generatori a benzina con un impianto ad energia solare. Un progetto di quasi mezzo milione di dollari, che ora potrebbe essere chiuso dalle autorità israeliane a causa di un ordine di demolizione arrivato all’improvviso.

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“Non c’era modo di chiedere i permessi, ha continuato Ihrizat, perchè il nostro villaggio non è riconosciuto da Israele e nessuna delle strutture ha mai ottenuto un permesso di costruzione”.

In realtà, come ha spiegato il responsabile spagnolo del progetto, SEBA ha chiesto il permesso dopo che i pannelli erano stati installati, ma la struttura israeliana di riferimento, responsabile dei villaggi dell’area C, non ha mai risposto.

E la decisione presa dell’esercito appare impiegabile agli abitanti di Imneizil, che vivono in tende e in precarie strutture abitative. “I pannelli sono ecologici, sulla nostra terra, e non disturbano nessuno” ha affermato Nihad Mur, residente del villaggio e madre di tre figli.

Tuttavia per COGAT, il corpo militare israeliano che si occupa dell’aspetto civile della vita in Cisgiordania, si tratta di “una struttura che è stata costruita senza permessi e senza coordinamento e per questo abbiamo emesso un ordine di stop ai lavori, permettendo all’organizzazione di presentare la sua posizione davanti ad un comitato d’appello, ma i membri dell’organizzazione hanno rifiutato”.

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In seguito Eitan Dangot, capo del COGAT ha deciso di fermare il processo di demolizione e ha richiesto a SEBA maggiori informazioni e dettagli sul progetto dei pannelli solari. Quello che si spera è che si riesca a legalizzare la struttura in maniera retroattiva.

Privare di acqua e luce gli abitanti di Imneizil significa costringerli a lasciare le proprie case. Queste tecniche, di cui fa troppo spesso uso l’esercito israeliano, fanno parte della politica del quiet-transfer: rendere la vita degli abitanti talmente difficile e complicata da costringerli ad abbandonare i villaggi. E i continui ordini di demolizione emessi dall’amministrazione civile Israeliana non sono che un mezzo per attuare tale politica. I dati del 2011 sono preoccupanti e negli ultimi mesi la situazione in Cisgiordania, ed in particolare in area C, ha subito un forte peggioramento : l’Agenzia ONU per gli Affari Umanitari (OCHA) riporta che nei primi sei mesi del 2011 sono state demolite 342 strutture di proprietà palestinese, lasciando 6656 palestinesi, tra cui 351 bambini, senza un tetto sopra la testa. Cifre cinque volte più alte di quelle registrate nell’arco del 2010.

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Dati preoccupanti anche secondo l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA): “Purtroppo il numero di persone colpite dalle demolizioni è in crescita. Si stima che tra il 28% e il 46% delle case palestinesi siano a rischio di demolizione e questa fa sì che le persone vivano costantemente in stato di ansia”. Proprio come gli abitanti di Imneizil.

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