Egitto: si delinea una netta vittoria islamista
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Egitto: si delinea una netta vittoria islamista

Continua lo spoglio. I dati parziali danno i Fratelli Musulmani avanti con il 47%, i salafiti sono intorno al 10%, il Blocco liberal-socialista al 22%. Domani i risultati.

Egitto: si delinea una netta vittoria islamista
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30 Novembre 2011 - 16.24


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File di ore ieri ai seggi, donne e uomini impazienti e orgogliosi di sapere che stanno mettendo in un’urna una scheda che ha finalmente un valore. Questa la risposta egiziana a quanti per anni hanno pensato che il paese non fosse pronto per la democrazia. A dimostrarlo, dicevano questi, il fatto che gli egiziani non si scomodavano neanche di uscire di casa per andare a votare e che il giorno delle elezioni i seggi erano vuoti. Non lo facevano, dicevano e hanno ora dimostrato milioni di egiziani, perché quelle che si tenevano nel loro paese non erano delle votazioni, ma un circo elettorale che portava dei sudditi ad approvare le decisioni prese dall’autoritario dittatore.

Dopo la rivolta scoppiata a piazza Tahrir – ancora occupata – l’affluenza alle urne è stata così imponente da sorprendere anche la commissione elettorale costretta, dopo la prima giornata di voto, a mettere a disposizione tre mila urne aggiuntive per le schede di quel corpo elettorale che nessun censimento recente era riuscito a prevedere con esattezza.

A vigilare le operazioni di voto sono stati migliaia di giudici, categoria per anni in aperto scontro con il vecchio regime. A questi si sono sommati tanti semplici cittadini che dalle prime ore del mattino hanno iniziato a denunciare con il loro telefonino vere o presunte violazioni. Un popolo di cittadini responsabili molto severo nel criticare ogni irregolarità fuori e dentro i seggi. Dall’apertura in ritardo di alcuni centri di voto alle schede elettorali non timbrate e quindi invalide. Le critiche più forti sono state quelle rivolte agli esponenti di Libertà e Giustizia, il partito della Fratellanza Musulmana a capo dell’Alleanza Democratica, che pattugliavano le urne, curandosi di aiutare anziani e bisognosi e di dare informazioni. Con questo comportamento, fratelli musulmani e salafiti avrebbero influenzato il voto di quei cittadini che sono stati per ore in fila. Se nei quartieri benestanti l’influenza degli islamisti davanti ai seggi è stata limitata, è soprattutto nelle zone popolari che questa si è fatta sentire. E’ sempre in questi quartieri che si nascondono i maggiori rischi di frode al momento dello scrutinio.

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A denunciare la condotta politicamente scorretta della Fratellanza sono stati soprattutto quanti temono che gli islamisti possano prendere il potere, come previsto, e imporre al paese un cambiamento non condiviso dalle altre istanze. Alcuni temono l’introduzione della sharia, la legge islamica, mentre altri pensano che i Fratelli non proporranno mai una cosa simile perché la popolazione egiziana, e la sua economia basata sul turismo, non potrebbe accettarla.

Fuori dai seggi, si sono viste irregolarità commesse non solo dai sostenitori di Libertà e Giustizia, che apparivano comunque come i più preparati all’evento, ma anche dai partiti secolari che compongono il Blocco Egiziano, la coalizione che si oppone all’Alleanza Democratica.

Senza maggioranza assoluta, per legiferare e governare la Fratellanza dovrebbe coalizzarsi con altri partiti ed è questa cooperazione che influenzerà l’andamento politico del nuovo parlamento che dovrebbe diventare un’istituzione più influente di quanto lo è stata in passato. Dopo decenni di dittatura, l’Egitto sembra infatti fidarsi di più di un sistema che lasci potere a un’assemblea, piuttosto che di una persona che lo concentri nelle sue mani.

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Quanti non sono spaventati da una deriva islamista temono piuttosto il ruolo dell’esercito, attore che sembra aver sancito patti con gli islamisti e che non pare intenzionato a cedere il potere.

Ad aver paura dei militari è soprattutto piazza Tahrir, l’epicentro della rivolta scoppiata lo scorso 25 gennaio, dalla quale gli attivisti continuano a chiedere l’uscita di scena dei militari. E’ anche per questo che poche ore prima dell’apertura dei seggi alcuni giovani attivisti che avevano debuttato in politica convinti di poter trasferire i risultati della piazza nelle istituzioni hanno deciso di defilarsi dalla competizione.

In questa ottica, le elezioni vengono percepite come una componente del sistema democratico che l’Egitto sta cercando di costruire, ma non l’unica. Quanti non abbandonano Tahrir sono consapevoli che alcuni esponenti del vecchio regime stanno cercando di fare di tutto per riacquistare potere, ed è per questo che boicottano tale appuntamento supervisionato dai militari. Ma la politica della strada non si propone di essere un’alternativa alle elezioni, quanto piuttosto un’ulteriore componente della rivoluzione che cerca di scardinare una volta per tutte le oligarchie attaccate al potere. E’ con questa combinazione di strade e urne che l’Egitto sta cercando di cambiare volto, sbarazzandosi definitivamente del complesso sistema di corruzione messo in piedi da Mubarak e confinando i militari nelle loro caserme.

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