Le rivolte arabe e la sinistra
Top

Le rivolte arabe e la sinistra

I giovani tunisini o egiziani avevano in mente di colpire l’Iran quando hanno sfidato la repressione per la loro rivoluzione? Chi lo dice, sbaglia.

La ragazza brutalizzata in Egitto
La ragazza brutalizzata in Egitto
Preroll

redazione Modifica articolo

7 Gennaio 2012 - 14.58


ATF
di Piero Maestri

Su Il Manifesto del 29 dicembre era comparso un articolo di Marizio Matteuzzi (“Venti di guerra per il 2012”) che segnala e mette in guardia sui preparativi di una possibile guerra statunitense (e alleata) contro l’Iran.

Indubbiamente nelle strategie degli Usa degli ultimi 25 anni, chiudere i conti con la rottura portata dalla rivoluzione iraniana del 1979 è uno degli obiettivi mai dimenticati. La vicenda del nucleare iraniano può rappresentare il pretesto per intensificare l’isolamento del regime degli ayatollah e per tentare qualche colpo di mano militare – per quanto estremamente pericoloso e tragico per le popolazioni coinvolte.

Essere attenti alle mosse degli alleati atlantici (più Israele e Lega araba a trazione saudita) è un compito che il movimento contro la guerra deve avere ben chiaro.

L’articolo di Matteuzzi contiene però alcune affermazioni che ci sembrano sconcertanti e contraddittorie riguardo le rivoluzioni arabe.

Cosa significa che “L’Iran è stato fin dall’inizio il vero obiettivo delle rivolte arabe”? Forse le/i giovani delle Casbah tunisine o di piazza Tahrir in Egitto avevano in mente di colpire l’Iran quando hanno sfidato la repressione delle forze dell’ordine per la loro rivoluzione? Oppure sono stati solamente “servi sciocchi” di un complotto nato altrove, alleati “oggettivi” della reazione statunitense e saudita?

Leggi anche:  L'Iran ha lanciato un satellite nello spazio: preoccupazione Usa per possibili usi militari

Mi pare che questo modo di leggere le rivolte arabe sia profondamente sbagliato e non aiuti la sinistra a capire da che parte stare.

Contraddittoria con questo pensiero invece l’affermazione, che in sé invece condivido, secondo la quale “le petro-monarchie del golfo Persico sono riuscite nell’intento di smuovere le vecchie potenze occidentali per farle correre in soccorso prima che il vento della rivolta popolare, una volta travolto Gheddafi, arrivasse dritto fino a loro: in Qatar, Bahrain, Kuwait e, la madre di tutti gli obbrobri, l’Arabia saudita”.

Finalmente ora anche Matteuzzi – dopo 10 mesi – ammette che anche in Libia era in corso una rivolta popolare e che l’intervento armato non fosse diretto a far fuori Gheddafi, quanto a evitare che le rivolte potessero raggiungere l’obiettivo più radicale: una vera democrazia in nord Africa e medio oriente e quindi la progressiva caduta di tutti i regimi dittatoriali. È questo che sostenevamo già nel marzo scorso quando abbiamo organizzato insieme ad altre forze la manifestazione a Milano contro l’intervento militare in Libia e a sostegno delle rivoluzioni arabe: non mi pareva questa l’opinione della maggioranza dei commentatori de “il manifesto” – Matteuzzi tra loro.

Leggi anche:  Libia, quando il crimine si fa Stato

Quello che però trovo più fastidioso – e sbagliato – è il continuo ripetere che la “primavera araba” (termine giornalistico alquanto discutibile) è morta con la caduta di Gheddafi. Le rivolte nei paesi arabi non sono nate un anno fa, sono il risultato di anni di accumulo di forze, di scioperi, di costruzione di una cultura e una conoscenza alternative – che hanno trovato una esplosione rivoluzionaria alla fine dello scorso anno e continuano oggi in forme diverse nei vari paesi (anche in Tunisia ed Egitto, perché le elezioni non hanno messo fine alle mobilitazioni sociali). Tra questi la Siria, dove una rivolta popolare contro il regime di Assad rischia di trasformarsi in un’altra guerra civile principalmente per le responsabilità del regime stesso.

È allora sufficiente denunciare le operazioni coperte e la volontà saudita e occidentale di approfittare della crisi del regime di Assad? O non è arrivato invece il momento per una sinistra internazionalista degna di questo nome di mobilitarsi contro qualsiasi intervento occidentale e per la fine dei regimi dittatoriali (da qualsiasi parte dello schema geopolitico vengano collocati) e la rottura dei sistemi corrotti dei paesi arabi e mediterranei (Siria e Iran compresi).

Leggi anche:  Per Mahsa Amini e per le donne iraniane

Senza tenere insieme questi due elementi, il movimento contro la guerra non sarà credibile e non riuscirà a sviluppare iniziativa e relazioni con le forze democratiche dei paesi arabi e mediorientali.

Native

Articoli correlati