Una intera flotta russa è ormeggiata da ieri nella base navale siriana di Tartus. La flotta comprende navi, sottomarini, jet ed elicotteri da combattimento. La Russia dispone di una base navale al largo del porto di Tartus ed è il principale fornitore di armi della Siria.
Guidata dalla portaerei “Admiral Kunetsov” la flotta rimarrà per sei giorni nelle acque territoriali siriane e la sua presenza conferma che la linea di Mosca verso il presidente siriano Bashar Assad non cambia. La Russia sostiene che la crisi interna siriana va risolta sulla base di un compromesso politico tra il regime e le opposizioni e non attraverso la caduta di Assad. Anche per questa ragione la Russia difficilmente darà il via libera in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu a quell’azione militare internazionale (Nato), sul modello libico, che il Consiglio nazionale siriano (Cns)– che racchiude parecchie delle forze antiregime – e il cosiddetto Esercito libero siriano – formato da militari disertori – invocano da tempo in modo aperto.
Contrario ad intervento militare straniero rimane Haytham al Manna, leader del Comitato di Coordinamento nazionale (Ccn). Manna all’inizio dell’anno ha avuto colloqui con Burhan Ghalion, capo del Cns e punto di riferimento principale di Francia e Stati Uniti. Secondo i media locali Manna avrebbe convinto Ghalion a rinunciare all’intervento straniero in Siria. Questa intesa riferita dai mezzi d’informazione però non ha trovato riscontro dato che il leader del Cns continua ad invocare una operazione internazionale in Siria così come chiedono i suoi padrini politici francesi.
Intanto la Lega araba ha deciso di rafforzare la propria missione in Siria. Dopo aver esaminato il primo rapporto degli osservatori inviati a Damasco, ieri l’organizzazione panaraba si è appellata al regime di Assad affinchè metta fine alla repressione delle manifestazioni (che secondo l’Onu avrebbe fatto circa 5mila morti) e ai gruppi armati, cioè i disertori, a porre termine alle violenze. Allo stesso tempo si è limitata a chiedere una prosecuzione del coordinamento tecnico con l’Onu a livello di segretari generali senza far riferimento all’invio di esperti sul terreno.
Il capo della missione di osservatori, il generale sudanese Mohammed Ahmed Moustafa al-Dabi, ha riferito nel suo rapporto di morti per le strade, di blindati nelle città visitate e di denunce su detenuti politici ancora reclusi in carceri segrete. La Lega ha quindi deciso di «dare agli osservatori il tempo necessario per proseguire la loro missione», appellandosi a rinforzarla a livello finanziario, logistico e di componenti. Nella dichiarazione conclusiva c’è anche una critica all’opposizione a cooperare con la missione che ha scritto di sentirsi «molestata» non solo dal regime ma anche dai suoi avversari i quali evidentemente puntano ad un fallimento degli osservatori, in modo da aprire la strada ad un intervento occidentale.